PUNTO ZERO. Che cosa (non) abbiamo imparato dalla pandemia

PUNTO ZERO

Che cosa (non) abbiamo imparato dalla pandemia.

di Emanuele Martignoni

PREMESSA

Se sei un negazionista, un virologo di facebook/instagram/twitter, un complottaro che crede che il covid sia stato voluto e pilotato da qualche strano ordine di Illuminati o da Bill Gates o dai cavalieri della santa croce o dal priorato di Sion o da Big Pharma o dagli erogatori del 5G ecc. ecc., se pensi che la comunità scientifica ci stia prendendo in giro e sei in malafede per principio, ecco: se sei uno di questi, passa pure oltre questo articolo (e la mia esistenza) e non sprecare il tuo tempo. Con la stupidità non si compete (nel senso che non ci si scende nemmeno in campo).

Per tutti gli altri si può aprire un confronto.

* * *

A due anni dall’inizio della pandemia, in una situazione di scarsa chiarezza gestionale e, forse, ideologica, e in considerazione delle tante variabili da cui è circondata la popolazione nel capire come vivere tra norme e regole, mi viene quasi spontaneo tirare una riga e provare a riordinare le idee. Il punto zero. È un po’ come giocare a tetris: si tratta in fondo di dare una forma compatta a tutti quegli strani pezzi che ci piovono giù dal cielo, prendendoli uno per volta e mettendoli in modo ordinato, abbastanza consono e relativamente sensato.

Cominciamo.

ETICA COMUNITARIA

Questa riflessione parte da un concetto che ho sempre difeso a denti stretti, ossia quello di “bene comune”. Si tratta di per sé di un’idea molto complessa, poiché convoglia in sé tantissimi aspetti dell’esistenza di un individuo nel suo vivere sociale. È fuor di dubbio che la pandemia abbia smosso in tal senso il pensiero di molti fin dai suoi esordi: al suo inizio e per tutta quella primavera e quell’interminabile lockdown mondiale, in un momento nel quale non si sapeva bene che pesci pigliare perché sprovvisti di armi per combattere il nemico invisibile del virus, era sotto i nostri occhi quel sentimento di “unità”, di compartecipazione, espresso dall’intera comunità civile. C’erano i canti e le bandiere, una vigile attesa colma di speranza, il sostegno morale agli operatori sanitari, l’incoraggiamento collettivo dell’ “andrà tutto bene”; si trattava forse di sentimenti, di moto emotivo, di un tentativo di scrollarsi di dosso la paura. La morte riempiva cronaca e notiziari, non come qualcosa di distante, ma, purtroppo, come qualcosa di tangibile e vicinissimo – tanta gente ha perso persone care, nessuno è stato esentato dalla perdita (diretta o per prossima conoscenza). In un clima di dolore collettivo è tornata a circolare una parola che forse era stata troppo frettolosamente accantonata: umanità. Intesa sia come “comunità umana”, sia come attitudine comportamentale.

Ho pensato, allora, che forse era arrivato davvero il momento storico nel quale si sarebbe potuto parlare di collaborazione, fratellanza, sostegno; il momento nel quale l’intera civiltà avrebbe potuto orientare tutta se stessa ad un obiettivo comune. Un po’ utopico, forse, il mio pensiero. Ma ci ho sperato. Pia illusione. Col passare del tempo, mi sono avveduto (e mi avvedo) con estremo dispiacere che si spreca del gran tempo a fomentare rancori, a suscitare odio, a formare pregiudizi; sembra non esistere più un’etica del confronto e, al di là di tante belle parole, si continui ad annaffiare la pianta della discriminazione. Il mio pensiero in merito a questioni importanti come quella del vaccino è ben conosciuto, e ci entrerò più avanti. Ma c’è qualcosa che non torna.

Partiamo dall’alto: siamo in balia di una classe politica agghiacciante, esempio ne è la recente modalità di ri-elezione del povero Presidente Mattarella (uno che l’etica collettiva la possiede davvero, avesse detto “no, grazie” saremmo in un bel disastro – forse ancor peggiore di quello che ci è rimasto); io mi sento costantemente preso per i fondelli da questi pseudo-teatranti che sotto gli occhi di tutti agiscono per tirare l’acqua al loro mulino (destra, sinistra, centro, movimenti, e chi più ne ha più ne metta), spaccano continuamente le alleanze o ne costruiscono solo per quattro voti in più, si pavoneggiano di relazioni pubbliche di pessimo gusto e infima moralità, manifestano un inquietante status di ignoranza, pensano a salvare uno stipendio da favola piuttosto che agire per il Paese. È una politica dei furbi nella quale nessuno – ribadisco: nessuno – ha mai provato a dire (forse nemmeno a pensare) di lasciar perdere i confini di partito per dedicarsi compatti ad uscire da questa crisi sanitaria e sociale. Nessuno. C’è chi dice che questa situazione imbarazzante sia figlia dell’avvento del “berlusconismo” in politica, delle privatizzazioni come regola per il successo, dell’aziendalizzazione delle istituzioni (compresa quella sanitaria)… Forse è vero, non ho una conoscenza così approfondita delle dinamiche statali ed economiche per addentrarmi nella discussione, ma così, a pelle, mi viene da pensare che non sia un’idea scorretta. Certo è che, da ben prima della pandemia, non riesco a trovare nulla nella politica odierna che sia in grado di rappresentarmi. Ed è altrettanto certo che da questo calderone di inetti non si possa estrarre alcuno spunto di etica comunitaria.

Non tanto lontano da questo tracollo della politica, e forse sua conseguenza, è il tracollo dell’informazione pubblica. Siamo pieni di format televisivi opinionistici, in ogni canale pubblico e privato, che nulla hanno a che fare con l’informazione scientifica, ma che persistono nel dare il palco agli urlatori migliori. A me sale il crimine ogni volta che tento di seguire uno di questi sciagurati programmi pensati solo per mettere le persone in sterile contrapposizione e sancire, lì dentro!, cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. È che purtroppo questo deplorevole modo di comunicare viene assunto a modello da un bel po’ di comuni ignoranti che improvvisamente diventano geni. Non siamo più capaci di stare al nostro posto. I social network diventano le avanguardie della verità rivelata. Non esiste più un dibattito che sia tale senza che si arrivi al turpiloquio o all’insulto. Nemmeno qui, nella divulgazione delle informazioni, v’è traccia di etica comunitaria.

A fronte di tal politica e di tal informazione, come lo spiego ai miei figli (che sono figli dell’era tecnologica) che sedersi attorno a un tavolo con pareri diversi è una ricchezza e non una guerra? Facendolo, certo. Ma qui si apre un’altra spinosa questione, frutto di quanto sopra…

SCUOLA, ARTE, SPORT: LA CULTURA DIMENTICATA.

Se c’è una cosa che balza all’occhio dalla gestione (politica) della pandemia, è che della cultura non frega più niente a nessuno. La pressione che stanno subendo le scuole in questo momento, da un punto di vista organizzativo, è una polveriera pronta ad esplodere. Completamente ingestibile. Non si sta salvaguardando in alcun modo la crescita culturale e sociale dei nostri ragazzi. Siamo il Paese delle opere d’arte, della musica, dei poeti, abbiamo un territorio capace di far scuola solo a guardarlo, siamo un pezzo di culla della cultura occidentale. Ma non lo sappiamo. O meglio, qualcuno lo sa, ma chi ha il dovere pubblico di orientare gli sguardi in questa direzione, si guarda bene dal farlo. In questi due anni, anche quando si è potuto considerare di poter ripartire, sono rimasti al palo la scuola, le attività artistiche, le attività sportive giovanili. Cioè il mondo di coloro che saranno il nostro futuro. Gli è stata spenta la cultura, gli è stata negata l’aggregazione sana. Anche qui, c’è chi dice che questo non sia altro che la conseguenza delle politiche scellerate messe in atto ben prima del Covid. Può essere. Ma quello che poteva diventare un punto di svolta, una riorganizzazione di questi canali di crescita indispensabili alla costruzione di un’umanità decorosa, è stato invece un tracollo delle idee, in alcuni casi un bluff (una vera e propria presa in giro). A cui potremmo aggiungere l’inefficienza dei trasporti locali che certo non ha favorito la ripresa adeguata delle scuole (vedo bus che sono carri bestiame per studenti). Delle forme d’arte e della loro espressione, per mesi non s’è parlato; cancellate dal sistema. Le attività sportive giovanili? Bloccate ogni volta che si paventa un incremento dei casi di contagi. E stiamo parlando di enti che hanno fatto di tutto per organizzarsi in modo tale da poter gestire le situazioni anche emergenziali che si sarebbero potute verificare. Stiamo perdendo l’identità culturale del nostro Paese sotto i colpi di maglio dell’indifferenza delle istituzioni. Io posso far cultura tra le mie mura domestiche, posso farlo anche dove presto servizio perché faccio un lavoro che me lo consente. Ma non c’è cassa di risonanza, non ci sono canali istituzionali che pensano e progettano un’efficace diffusione del sapere e dell’aggregazione sana, è tutto lasciato alla buona volontà (e alla fortuna) dei singoli. Che Paese è un Paese che non tutela le sue risorse di bellezza, i suoi valori, la sua storia? Che non dà linfa al suo futuro? Un Paese nel quale i politicanti si deresponsabilizzano e fanno la bella vita e nel quale insegnanti e operatori sanitari e sociali hanno lo stesso stipendio da vent’anni? Un Paese che commercializza il disprezzo e lo scontro anziché valorizzare il confronto e le risorse?

I nostri ragazzi hanno bisogno di un sistema funzionante per poter crescere con quei valori civili che li renderanno belle persone. Ma anche qui, ora, è davvero difficile invogliare al bene collettivo. Il sistema di ripresa delle attività scolastiche e sportive è frammentato e macchinoso e s’inceppa continuamente, per quelle artistiche è inesistente. Siamo di fronte alle derive della solitudine e dell’autoisolamento, le finte sicurezze del non confronto e del mancato incontro con la realtà e il mondo concreto. Quando mai sono state attuate politiche sociali volte a incentivare la libera aggregazione e a favorire scambi artistici, a implementare lo sport giovanile (siamo quello stato nel quale se non entri nell’esercito non puoi fare carriera sportiva in pressoché tutte le discipline olimpiche…) e ad aprire sportelli di sostegno psicologico e pedagogico costruttivi e duraturi? Poteva essere una buona occasione, questa, per ripensare e rifondare le politiche “per il futuro”. Ma non è stato fatto.

Ci si è arenati tutti quanti nella questione che segue…

VACCINI &CO.

Sono assolutamente a favore della vaccinazione, di tutte le vaccinazioni in generale, in particolare di questa. Ringrazio la comunità scientifica che, a fronte di secoli di evoluzione, è in grado di fornirci un vaccino in tempi brevi e con efficacia validata – ho uno sguardo “privilegiato” sull’argomento, non lo nego, e non sto nemmeno ad addentrarmi in spiegazioni su una tale evidenza. Né sono intenzionato a discutere su questo, sulla validità dello strumento.

Ma voglio che sia ben chiara una cosa: a dispetto di quello che le normative e lo pseudo-giornalismo stanno facendo passare, io non mi sono vaccinato per andare a lavorare, ma per tutelare la mia salute e quella di coloro che mi stanno intorno.

È una scelta etica, la visione di un bene collettivo. È giusto che gli operatori sanitari e gli insegnanti abbiano l’obbligo vaccinale? Certo, perché chi si prende cura di altri, deve garantire la salute e la sicurezza. Che cosa vorrei? Che l’obbligo vaccinale sia esteso a tutta la popolazione maggiorenne. Non sarebbe nemmeno anticostituzionale, a dispetto di quello che molti dicono, perché è scritto a chiare lettere che lo stato può prendere decisioni di questo tipo a fronte di un’emergenza sanitaria – quelli che hanno scritto la Costituzione però l’avrebbero anche fatto, con gli inetti di adesso non c’è pericolo che accada, tranquilli no-vax!

Ma, al di là di quel che penso io, che è ovviamente opinabile, se una persona ha deciso di non vaccinarsi (per i suoi mille motivi che non sto qui a discernere, e che non condivido), non capisco perché non debba non poter lavorare, soprattutto se le precauzioni da prendere sono le stesse – vaccinati o no. Il green pass può essere uno strumento utile che, nei frangenti di incremento dei casi e di grave emergenza (speriamo sempre più brevi e sempre minori), può consentire a chi si è vaccinato di continuare con maggiore sicurezza a fare attività che potrebbero essere temporaneamente precluse a chi non lo è (che però, da cittadino, andrebbe comunque tutelato, perché il lavoro è un fondamento della Costituzione); paragonarlo alle esecrabili azioni del nazismo è da sciocchi e ignoranti, basterebbe conoscere un minimo di storia per capirlo. Non cambio idea circa il fatto che non vaccinarsi sia una scelta egoista (vedi alla voce: reparti ospedalieri intasati da no-vax gravi, e rinvio conseguente di altri interventi di salute per il resto della popolazione. Per dirne una) e poco etica; ma signori!, dov’è finita l’umanità? La reciproca comprensione? L’intelligenza di confrontarsi senza prevaricare? Ne ho veramente abbastanza di tutti questi farneticanti pontificatori di giusto e sbagliato, di sproloqui contro qualcosa o qualcuno, di scelte da dover giustificare per essere credibili. Ognuno vive con la sua coscienza e con essa faccia i conti senza offendere o far male.

Perché è quella stessa coscienza che poi porta ad un’etica dei comportamenti e delle azioni volta a salvaguardare l’umanità (intesa come sopra descritto), al formarsi di quella che ho definito “etica comunitaria”. Continuare a sbrodolare sanzioni e giudizi dalle comode postazioni dei propri salotti, altro non fa che consolidare la discesa al nulla verso cui da almeno un paio di decenni la comunità politica e la non-informazione di massa ci stanno conducendo.

Pareri opposti e differenti possono convivere e confrontarsi, le intelligenze possono arricchirsi e i gesti di cura e d’amore non venire meno. Questa è un’etica comunitaria, che ci sia o no una pandemia. Ma forse ancora non l’abbiamo imparato.

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