da: Emanuele Martignoni, Cantiche del Tempo – 2022
RINASCIMENTALE, Canto di Primavera
Da principio par timida
nel suo lieve rossore
di là d’una tenda
di foschia –
quasi a prolungare
gentilmente
l’attesa d’un risveglio
che la terra brama.
Una luce primordiale
sembra avvolgere
il mondo –
si confondono le ombre
nei pastelli sfumati
del chiarore d’aurora.
Soffia leggero
Zefiro da ponente –
delicato nella forma,
di sostanza vigoroso.
Ebbro d’amore
il suo desiderio
si esala senza tregua
tra le pieghe
addormentate delle anime
non più invernali,
non ancora roventi.
Spande nell’aria
profumi di terre
lontane – ogni volta
nuovi ed avvolgenti.
Capriole di foglie
lasciate dal disgelo
lo dicono presente –
cacciatore indomito
dal fiuto virile
serpeggia cauto
tra arbusti e frutteti spogli
e scivola
dietro le prime finestre
dischiuse
ove sa celarsi
la femminea grazia
della figlia di Zeus.
Riposa un po’ ancora,
Clori,
riposa le membra
voluttuose
che a breve scioglierai
nel piacere del vento.
Son fuggite
le grigie nubi
al calar della sera
di ieri,
s’è aperto il cielo
della notte
al tremolio di mille stelle
sparpagliate –
ché l’araldo dell’inverno
lasciò a Mercurio
il suo bastone,
ed egli ne fece il caduceo
della prosperità
e dell’armonia,
lo mostra alto all’orizzonte
per tenere
le oscurità lontane.
Riposa un po’ ancora,
Clori,
mentre l’alba
ti conduce il canto
armonioso del cardellino
e delle cinciallegre
che ingemmano l’aria
di voli felici
e innamorati.
Riposa –
finché si smuoverà
una tenda di seta
e il tuo giaciglio
ospiterà Zefiro il fiero
e sosterrà l’estasi
e la passione
dell’atto d’amore.
Nel volgere di pochi giorni
s’allungano in luce
le ore,
s’intiepidisce la pietra
fredda delle case invernali,
s’attardano gli uomini
in sussurrate chiacchiere
davanti ai portoni –
l’imbrunire può attendere
qualche minuto ancora.
I rami tendono
al sole e s’adornano
di gemme,
canta il merlo sui tetti,
più azzurra si fa
l’acqua del lago –
Natura si desta
allo specchio
della sua risurrezione.
So che stupore provo
al risvegliarsi
di questa stagione –
ma ancora
me ne meraviglio.
Al vaglio discreto
di qualche notte insonne
porterò quella sana voglia
di colmare l’anima
con aria nuova
e l’animo con poesia
e canzoni,
quella sana voglia
di dar colore ad abiti e sogni
e d’ascoltare
appartato
il riverbero di campane
e preghiere.
Un passo più indietro
Venere riluce
in tutto il suo splendore,
osserva con occhi ammalianti
l’adornarsi del mondo e ascolta
quali incaute parole
sappia pronunciare
un uomo che osi prendere
ed elargire amore.
Cupido intanto
ha scagliato la sua freccia
infuocata
sotto l’egida della bella Madre –
può cominciare
la sinuosa danza
delle Grazie
che si tengono la mano,
i loro veli
sfiorano in carezze
l’erba già verde e copiosa.
La Ninfa e il Vento
han consumato il loro amore –
Zefiro torna fuori,
potente e maestoso
a questo giro,
per spazzare via
una volta per tutte
quel che resta dell’inverno
e spianare la via
al passo dell’amata Clori
che compare ora
sulla volta terrestre
splendida e radiosa
in novella veste di fiori
e col nuovo nome,
Flora.
Esplode primavera,
come d’incanto.
Dal fertile grembo
l’amata elargisce
boccioli e colori.
S’empiono i prati
di viole e margherite,
d’iris e fiordalisi,
fiorisce il gelsomino
e il profumo suo dolciastro
attira l’ape generosa,
il ranuncolo adorna le aiuole,
la magnolia s’è vestita da sposa
e inorgoglisce i giardini
di gioielli bianchi e rosa.
A bagnare
questa sete di vita
giungeranno scrosci
d’acqua piovana
da un cielo poi subito terso
che si concederà la tentazione
di striature verdi e rosate
all’ora del tramonto –
quando da sud suonerà
quel noto verso,
lo stridio tanto caro
nel bel mezzo d’aprile –
l’avamposto dello stormo
è arrivato,
la rondine ha fatto ritorno
e viene ad appurare
di potersi accasare
al solito nido sulla trave –
canta gagliarda
e porta il primo ramo
del suo focolare,
ben sapendo
che tutta questa fioritura
fra non molto
avrà frutti da far maturare.
Che cosa non hai imparato,
uomo,
da Madre Natura?
Che cosa
ancora
non vuoi capire?
Che cosa
rabbuia i tuoi pensieri
e indurisce le tue mani?
Non ti rende più saggio
l’andare del tempo,
e più buono?
Ah, che fatica accompagna
il tuo peregrinare,
se non t’avvedi
quanta letizia dia,
al tuo spirito contorto,
osservare un petalo screziato
teso al vento lieve della sera,
quanta bellezza dia
il rossore della rosa
che colora maggio,
quanta gioia dia
quel canto d’uccelli
che colma i cortili
di primavera.
Saremo ancora
tanto affaccendati
e superficiali
da non cogliere
il potere rinascimentale
che ogni risveglio reca?
Accade all’oggi
e governa
ogni moto universale –
eppur non lo riconosciamo.
Il giorno intanto
annotta dentro lunghe sere
e già giugno
mette l’abito di lino,
elegante precursore
della divina estate.
Il melo, il ciliegio
e il pesco danzano
di fiori al suonare
gentile del vento.
D’intorno
tutto è cominciato di nuovo,
tutto è giovinezza,
non d’anni –
se non nel ricordo
e in brevi stille di malinconia –
ma d’animo.
D’intorno
tutto è raffinatezza
e armonia –
sì come volle la Dea
nell’allegoria.
Emanuele Martignoni, Cantiche del Tempo, gr. editoriale GEDI, 2022
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Le foto sono dell’Autore del testo: la prima ritrae la celebre “Primavera” di Botticelli, opera fotografata presso la Galleria degli Uffizi e principale fonte d’ispirazione del testo sopra riportato; la seconda è uno sguardo sul lago di Varese dalla darsena di Cazzago Brabbia.
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