un racconto delle praterie: la nascita degli Osage (Indiani d’America)

Un racconto che insegna a valorizzare la diversità, a far tesoro dell’amicizia, a credere nel proprio destino.

 

LA TRIBU’ CHE EBBE ORIGINE DA UNA CONCHIGLIA

Una lumaca viveva sulle sponde del fiume Missouri dove si spostava lentamente protetta dalla sua conchiglia, trovava abbondanza di cibo e non aveva bisogno di nulla. Col passare del tempo, a seguito di forti piogge e inondazioni, le acque cominciarono a salire e strariparono dalle sponde e, sebbene il piccolo animale si fosse aggrappato ad un ceppo, la forza dell’acqua lo portò via. Galleggiò lungo la corrente per molti giorni. Quando il livello dell’acqua diminuì la povera lumaca rimase nel fango e nella melma sulla riva. Il calore del sole fu così forte che presto la fissò alla melma impedendole di muoversi. Non poté più nutrirsi. Era oppressa dal calore e dalla siccità. Si rassegnò allora al suo destino e si preparò a morire.

Ma all’improvviso avvertì un rinnova­to vigore. La sua conchiglia si aprì e cominciò a crescere. La sua testa cresceva gradatamente sul terreno, sentiva le estremità inferiori assumere l’aspetto di piedi e gambe. Dai fianchi si estesero le braccia, sentì le loro estremità dividersi in dita. Infine divenne, sotto l’influsso del caldo sole di un giorno d’estate, un uomo alto, robusto e nobile. Rimase per un po’ in uno stato di torpore e intontimento. Si poteva muovere appena e aveva la mente offuscata. Non era abituato a quella sembianza e doveva imparare come reggersi in piedi, come muoversi, come prendere dimestichezza con le sue rinnovate membra. Tutto ciò avveniva per gradi; cominciò a sperimentare, ad osservare e vedere le cose da un diverso punto di vista, a pensare e immaginare; ebbe quindi dei ricordi e perciò si decise a ritornare alla sua terra nativa.

Ma era nudo e inerme. Era vittima della fame. Mentre camminava vedeva animali di terra e uccelli ma non sapeva come nutrirsene. Preso da scoraggiamento, desiderò essere di nuovo una lumaca perché così avrebbe saputo come procurarsi il cibo. A lungo andare divenne così debole a causa del lungo cammino e del digiuno che si distese su una sponda erbosa per morire. Non era sdraiato da molto quando sentì una voce che lo chiamava per nome. “Was-bas-has” esclamò la voce. Guardò in alto e scorse il Grande Spirito su un cavallo bianco. I suoi occhi brilla­vano come stelle, i capelli splendevano come il sole. L’uomo non riusciva a reggere la sua vista, tremava dalla testa ai piedi. Ma il Grande Spirito gli parlò di nuovo, con un tono mite: “Was-bas-has! perché sei così terrorizzato?”. Egli rispose: Tremo perché sono di fronte a Colui che mi ha sollevato da terra. Sono debole e affamato, non ho mangiato nulla da quando l’inondazione mi ha lasciato sulla riva, quando ancora ero una piccola lumaca”. Il Grande Spirito a questo punto alzò le mani e, mostrando arco e frecce, gli disse di prestare attenzione. A una certa distanza vi era un uccello posato su un albero. Pose una freccia sulla corda e, tirandola con forza, abbatté il bell’animale. In quel mentre comparve un cervo. “Questi”, disse, “sono il tuo cibo, e queste sono le tue armi” porgendogli l’arco e le frecce. Poi gli insegnò a togliere la pelle del cervo e a prepararlo come capo di vestiario. “Tu sei nudo e devi essere vestito, ora è caldo ma poi cambierà e ci saranno piogge, neve e venti freddi.” Dopo aver detto questo gli rivelò il segreto del fuoco e gli insegnò ad arrostire la carne. Poi gli mise una collana di wampum attorno al collo e disse: “Questa rappresenta la tua autorità su tutti gli animali”. Dopo aver fatto questo, sia il cavallo che il cavaliere si solleva­rono e scomparvero alla vista.

Was-bas-has si rinfrescò e poi proseguì la sua strada verso la terra nativa. Si era seduto sulla riva del fiume e stava meditando su ciò che era accaduto quando un grande castoro si alzò dal canale e gli parlò: “Chi siete voi”, disse il Castoro, “che venite qui a disturbare il mio antico regno?”. E lui rispose: “Sono un uomo. Una volta ero una lumaca, una lumaca strisciante, ma voi chi siete?”. Replicò il Castoro: “Sono il re della nazione dei castori, conduco la mia gente su e giù per questo fiume, siamo un popolo indaffarato e il torrente è il mio dominio”. Ribatté Was-bas-has: “Devo dividerlo con te. Il Grande Spirito mi ha posto alla guida degli animali che cammi­nano sulla terra e degli uccelli, dei pesci e degli altri volatili e mi ha concesso il privilegio di mantenere i miei diritti”. Allora sollevò l’arco e le frecce e mostrò la collana di conchiglie che aveva attorno al collo. “Vieni, vieni”, disse il Castoro modificando il tono, “intuisco che siamo fratelli, cammina con me verso casa mia e rinfrescati dopo il tuo viaggio”. Così dicendo lo guidò per la via.

L’Uomo-Lumaca obbedì di buon grado e non ebbe ragione di pentirsi della sua fiducia. Presto entrarono in un grande e bel villaggio e il suo ospite lo condusse all’abitazione principale. Era una stanza ben costruita, a forma di cono con il pavimento graziosamente ricoperto di tappeti. Non appena furono seduti il Castoro istruì moglie e figlia a preparare del cibo per il loro ospite. Nell’attesa, il capo Castoro pensò che avrebbe dovuto approfittare dell’opportunità di farsi subito amico di un essere così superiore, e nello stesso tempo, ancora inesperto.

Lo informò del loro metodo di abbattere gli alberi con i denti e di porli attraverso i ruscelli per arginare l’acqua e gli descrisse il metodo per completare le dighe con le foglie e l’argilla. Lo istruì anche sul modo di costruire abitazioni e, con altri argomenti opportuni e interessanti, lasciò che il tempo passasse e fortificò il suo legame col nuovo arrivato.

Poi entrarono la moglie e la figlia portando recipienti di fresco pioppo scortecciato, salice, sassofrasso e corteccia di ontano, ovvero la più vasta scelta di cibo a loro nota. Was-bas-has lo assaggiò con gentilezza mentre il suo ospite ne divorò in abbondanza con piacere.

All’uomo piacevano l’aspetto modesto e il comportamento della figlia del capo, il suo vestito lindo e ordinato e la sua attenzione premurosa agli ordini del padre. Ciò si maturò in stima dopo un’ulteriore visita. I due si scambiarono i ricordi e allora si seppe che la ragazza fu lei pure un piccolo animale, un castoro per l’appunto, che un giorno per volere del Grande Spirito si trovò trasformata in donna, fu accolta nel regno del Castoro il quale la prese con sé e con la sua compagna come fosse una figlia.

Tra l’Uomo e la Donna sorse così un reciproco attaccamento. Fu proposta un’unione al padre, che si rallegrò di un compagno così vantaggioso per sua figlia. Allora fu preparata una grande festa di alleanza alla quale furono invitati tutti i castori e altri animali che erano in buoni rapporti con loro.

Così quel giorno l’Uomo Lumaca e la Ragazza Castoro si unirono e tale unione segna l’origine degli Osage.

Questo dicono gli anziani.

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