tracce di storia del pensiero educativo: 1.LA GRECIA ANTICA, CULLA DELL’OCCIDENTE

  1. LA GRECIA ANTICA, CULLA DELL’OCCIDENTE

La nascita della filosofia occidentale, e quindi lo studio razionale e logico del pensare intorno all’esistenza e ai suoi significati, viene fatto risalire al genio greco, sia da un punto di vista quantitativo (per il numero di pensatori conosciuti appartenenti a quest’età) che da un punto di vista qualitativo (per l’assoluta novità del fenomeno): la civiltà occidentale, sotto la spinta dei Greci, ha preso una direzione completamente differente da quella orientale; la filosofia ha reso possibile la nascita della scienza e ha dato un contributo eccezionale e fondamentale allo sviluppo della nostra civiltà.

I popoli orientali con cui in parte vennero in contatto i Greci possedevano anch’essi una forma di sapienza, basata però su convinzioni religiose e miti teologici e cosmologici; essi non avevano tuttavia sviluppato una scienza filosofica fondata sulla pura ragione (sul logos). Beninteso, anche la filosofia greca ha origine nel mito, ma la forma rigorosamente logica con la quale venivano espressi i contenuti della vita spirituale rappresenta un sistema espressivo unico di interpretazione del reale e del soprannaturale.

 

1.1 Poemi e misteri

I poeti della Grecia Antica hanno grandissima importanza nella formazione dell’uomo, antecedentemente alla nascita della filosofia, più di quanto non è accaduto presso altri popoli dell’antichità.

L’Iliade e l’Odissea vengono composte tra il IX e l’VIII sec.a.c. ed attribuite ad Omero (non ci sono però certezze circa l’identità del poeta; in realtà potrebbe trattarsi dell’opera di più poeti); esse esercitano sui Greci un’influenza pari a quella della Bibbia per gli Ebrei, non essendoci testi sacri in Grecia. Questi due poemi contengono delle particolarità che li differenziano da altri scritti dell’antichità che stanno all’origine di popoli o civiltà:

–      non scadono nella descrizione di cose mostruose o deformi e si strutturano sul senso di armonia, proporzione, limite e misura che verrà elevato al rango di principio ontologico dalla filosofia successiva;

–      è costante l’arte della motivazione: non vengono narrati dei fatti e basta, piuttosto vi è una continua ricerca delle cause e delle ragioni di azioni e comportamenti;

–      la realtà è presentata nella sua interezza, sia pure con l’utilizzo della forma mitica: in ogni momento dell’epica omerica si chiarisce o si indaga quale sia la posizione dell’uomo nell’universo;

–      i valori descritti dell’aristocrazia guerriera sono quelli che riproducono la società stessa, cioè: il coraggio in battaglia, l’eroismo a costo della vita, la resistenza alla fatica e al dolore, la destrezza, l’utilizzo dell’astuzia per superare il nemico; i ragazzi venivano istruiti a questi valori (l’arte della guerra in nome della gloria) e il giovane che si indirizzava ad essi veniva integrato con onore nel suo gruppo sociale.

Molto importante è poi l’opera di Esiodo; la Teogonia, che descrive la nascita di tutti gli Dei, e Le opere e i giorni, che descrive la vita dei contadini, nell’VIII sec.a.c. si inseriscono presto come modello di vita accanto all’epica omerica; con esse si allarga il mondo degli ideali e dei valori messi in campo per l’educazione dei giovani, si parla di svolgere bene la propria attività, di non aspirare necessariamente a grandi onori ma di accontentarsi del giusto guadagnato con onestà, dell’educazione impartita dalla famiglia.

Omero ed Esiodo sono l’eccezionale testimonianza della cultura trasmessa oralmente nella Grecia Antica da aedi e trovatori: essi, narrando le gesta di Dei, eroi e uomini comuni, costruiscono dei grandi contenitori simbolici in grado di guidare ed educare la società. In particolare, gli Dei sono forze naturali personificate in forme umane idealizzate o anche aspetti reconditi della personalità umana declinati in sembianze antropomorfe.

Ma questo ad un certo punto non è più sufficiente e cominciano a circolare i culti misterici, soprattutto l’Orfismo, che introducono nella società una nuova interpretazione dell’esistenza umana:

–      nell’uomo abita un principio divino (l’anima) caduto nel corpo per via di una colpa originaria;

–      questo principio o demone preesiste al corpo e vive dopo di esso reincarnandosi in corpi successivi fino ad estinguere la sua colpa;

–      i riti e le pratiche della vita orfica possono porre fine al ciclo di reincarnazioni;

–      il destino dell’uomo è di tornare ad essere presso gli Dei;

–      lo scopo del vivere è la purificazione dell’elemento divino presente nell’uomo.

 

1.2 Lo sviluppo delle poleis

Tracciando il percorso che ha portato la cultura e le civiltà greca al loro massimo splendore, soffermiamo l’attenzione sulle città simbolo di questo periodo antico: Atene e Sparta.

I poemi di Omero – redatti, come già detto, nel IX sec.a.c. – narrano di vicende avvenute secoli prima, precisamente fra il XV e il XIII sec.a.c., nell’età del bronzo detta anche “micenea”. La Grecia di allora era dedita alla pastorizia e all’agricoltura basata su metodi ancora primitivi e le famiglie del tempo erano dipendenti in tutto dall’autorità del padre o del capofamiglia. L’educazione si svolgeva su modelli assai semplici: i padri istruivano i figli sulle attività che avevano appreso dai loro genitori; alle donne era affidato il governo della casa ed erano dedite alla filatura e alla tessitura. I genitori educavano e insieme istruivano i figli, fornendo loro le basi della personalità e abilitandoli alla professione.

L’XI sec.a.c. segna il passaggio all’età del ferro o “dorica” ed è il primo periodo in cui si segnalino dei rivolgimenti sociali: le nuove tecniche di lavorazione permettono un incremento della produzione agricola e artigianale favorendo la sussistenza di piccole comunità autonome e incrementando gli scambi commerciali fra di esse, ampliando così la conoscenza del mondo circostante. Quest’epoca si conclude intorno all’VIII secolo, quando cioè si diffondono le epiche omeriche e – soprattutto – quando la scrittura diventa oggetto di formazione e la figura dello scriba assume un ruolo sociale di fondamentale importanza: lo sviluppo dell’attività produttiva ha alimentato l’espansione dei mercati, spostando il cuore della vita pubblica dai luoghi di campagna a quelli dove si svolge il mercato stesso.

Ora, avviene che le nuove esigenze sociali legate al mercato e agli affari affianchino nella formazione dei giovani greci i già conosciuti valori cantati dai poeti. È in questo periodo che prendono forma e si fondano nella realtà formativa le basi dell’etica greca che porteranno in breve questa civiltà allo splendore: il concetto di aretè, sintesi di prestanza fisica e disciplina; la kalokagathia, equilibrio ideale tra corpo e spirito, tra qualità fisiche e morali; la sophrosyne, ideale dominio di sé e misura comportamentale. In base a questi modelli, i contenuti e i metodi dell’educazione prendono nuove forme.

Le due poleis più importanti nell’area greca sono Sparta e Atene. Entrambe vivono quei processi finora descritti, ma i loro percorsi prendono strade completamente differenti a partire del VII secolo.

Sparta prende su posizioni eccessivamente conservatrici, in cui predominano i modelli dell’aristocrazia guerriera e il mantenimento dei metodi educativi arcaici; l’ordinamento sociale è gerarchico: un numero ristretto di cittadini liberi, detti Spartiati, si dedica alla guerra; gli altri liberi, detti Pericei, per lo più contadini, non partecipano alla guerra perché considerati di scarso valore; infine vi sono gli Iloti, schiavi e servi ritenuti di razza inferiore. Il percorso educativo spartano comincia fin dalla nascita e riguarda solo i bambini dotati di un aspetto fisico che mostri forza e salute: fino a sette anni essi sono affidati alle cure familiari, poi vengono inseriti in strutture educative dove svolgono educazione fisica, caccia, esercitazioni militari e musica (quest’ultima non tanto per il suo valore estetico ma piuttosto per l’uso che se ne può fare a scopo di incitamento guerresco). Anche le ragazze seguono questo iter, poiché dovranno in un futuro diventare madri di forti spartani. Questo tipo di formazione dura fino ai trent’anni, avviene per gradi e – dagli undici anni in poi – si svolge all’interno di caserme comuni. I valori riconosciuti sono quelli della forza, della destrezza, dell’obbedienza totale alla patria. Tutti gli anziani possono educare i giovani, anche rimproverarli e punirli. Con Sparta, per la prima volta nella storia, la virtù guerresca diventa funzionale al sistema statale.

Ben diverso in senso democratico è ciò che avviene ad Atene (a parte quei brevi periodi in cui governano le tirannidi). Nel VI sec.a.c. Solone promuove un sistema di riforme fondato sul diritto e volto a limitare lo strapotere dell’aristocrazia e a dare parità politica ai ceti medi, con il conseguente incremento delle attività commerciali, un nuovo dinamismo economico, l’apertura agli stranieri. A partire dal V secolo Atene sviluppa un’imponente fioritura culturale e la polis si struttura in modo tale che ogni giovane possa trovare spazi densi di significato ove intraprendere la sua personale formazione; il tempo è scandito da celebrazioni e ricorrenze politiche e religiose, i riti e i contenuti delle rappresentazioni teatrali diventano vere e proprie dimostrazioni pedagogiche in cui evidenziare i valori etici fondamentali per la società. I cittadini ateniesi imparano a padroneggiare il linguaggio per potersi difendere in tribunale, tutti partecipano alle assemblee cittadine e i governanti vengono eletti dalla popolazione. I bambini frequentano i maestri per imparare a leggere e a scrivere, quelli delle famiglie più agiate ne hanno anche tre (uno di grammatica, uno di musica, uno di educazione fisica); i giovani maschi completano la loro formazione con l’efebia, luogo di crescita morale, civile e religiosa. L’educazione femminile non viene curata in modo altrettanto dettagliato, ma all’interno delle case le donne (e anche gli schiavi) hanno un posto importante, alla pari con gli uomini; inoltre, riti simbolicamente legati alla realtà e alle divinità femminili segnano il passaggio ai vari stadi di crescita delle ragazze.

 

1.3 Nasce la filosofia

I primi filosofi occidentali di cui si ha memoria hanno origine sulle coste dell’Asia Minore o sulle isole ad esse antistanti. Costoro in realtà non sono veri e propri filosofi “di professione”: si tratta piuttosto di saggi, di uomini sapienti, che mettono le loro conoscenze al servizio della comunità, ma non per questo tralasciano i loro interessi privati. Di loro si sa poco, abbiamo un numero esiguo di frammenti dei loro scritti, ci basiamo sulle testimonianze di quelli che sono loro succeduti, in particolare Platone e Aristotele. Ciò che accomuna questi primi pensatori è la contemplazione del mondo con l’occhio distaccato della ragione, il desiderio di una ricerca puramente scientifica dei principi essenziali della natura. Ricordiamo comunque che già prima dei Greci altri popoli avevano avuto i loro sapienti, per esempio i Caldei e gli Egizi: ma questi saggi facevano parte di ristrette cerchie o di caste sacerdotali e non usavano diffondere la loro cultura. I Greci invece hanno superato l’era delle chiuse divisioni di casta, e pure l’antica mitologia esige ora spiegazioni più razionali al punto che il politeismo inizia a fare sempre più spazio al monoteismo: i primi sapienti Greci si spingono alla ricerca dell’unico principio di tutte le cose, l’archè: ciò da cui derivano originariamente e in cui si risolvono da ultimo tutti gli esseri.

La città di Mileto, nella Jonia, è stata la prima culla del sapere, e Talete di Mileto, vissuto tra la fine del VII e l’inizio del VI sec.a.c., è comunemente riconosciuto come il primo filosofo. Talete è scienziato e politico ed è stato il primo filosofo naturalista, affermando che il principio originario di tutto ciò che esiste è l’acqua, fonte di tutte le cose, termine di tutte le cose, sostegno di tutte le cose: l’acqua è la realtà prima e fondamentale. L’affermazione di Talete è basata sul logos, sul puro ragionamento: l’acqua di cui egli parla non è l’acqua che beviamo, è piuttosto un principio divino che sta in tutti gli esseri, ciò che permette di leggere la realtà nel suo intero e di studiarne le parti.

Anassimandro di Mileto, discepolo di Talete, compone un trattato Sulla Natura (il primo trattato della filosofia occidentale) nel quale afferma che l’acqua è già qualcosa di “derivato” e quindi non può essere un principio; questo piuttosto deve essere qualcosa che non muore e non nasce, che sia privo di limiti sia interni che esterni: qualcosa che abbraccia, circonda, governa e regge tutto. Anassimandro indica questo principio con il nome di a-peiron (letteralmente: senza limiti). Aggiunge inoltre che il mondo è costituito da una serie di contrari che tendono a sopraffarsi l’un l’altro (caldo e freddo, secco e umido, ecc.): c’è ingiustizia quando c’è sopraffazione, c’è giustizia quando c’è equilibrio. Più ancora, offre una descrizione della genesi del cosmo secondo cui da un movimento eterno si generarono i primi due contrari, il caldo e il freddo: il freddo di natura liquida sarebbe stato trasformato in fuoco (caldo) di natura aerea e forma sferica; dalla sfera del fuoco nacquero il sole, la luna e gli astri, dall’elemento liquido nacquero i mari.

Sempre a Mileto vive Anassimene, discepolo di Anassimandro. Egli condivide con il maestro l’idea che il principio debba essere qualcosa di indefinito, e lo pensa come aria infinita, sostanza aerea illimitata. Anassimene ha la necessità di introdurre una scienza della physis (natura) che permetta deduzioni più logiche e più razionali di quelle esposte da Anassimandro; riprendendo i principi del suo maestro, afferma che il freddo è la materia che si contrae e si condensa, mentre il caldo è la materia dilatata e allentata: perciò l’uomo lascia uscire dalla bocca, attraverso il respiro, sia il caldo sia il freddo, quindi l’aria è ciò che fa vivere la materia.

Tra il VI e il V sec.a.c. vive e opera, ad Efeso, Eraclito. Conosciuto come uomo dal carattere scontroso e schivo, scrive anch’egli un libro Sulla Natura ed è colui che per primo afferma che nella medesima acqua del fiume non ci si può immergere due volte, perché quando vi scendiamo la seconda volta è altra acqua quella che passa e noi stessi siamo pure mutati. Ciò significa che per essere ciò che siamo in un determinato momento dobbiamo non-essere-più ciò che eravamo in un momento precedente e per continuare-ad-essere dovremo non-essere-più ciò che siamo ora. Perciò Eraclito afferma che tutto si muove e tutto scorre (panta rei). Il principio di ogni cosa è l’armonia che determina l’unità (la continuità) degli opposti: giorno-notte, inverno-estate, guerra-pace, sazietà-fame… L’immagine che Eraclito utilizza per indicare l’armonia tra i contrasti è il fuoco (tutte le cose sono uno scambio di fuoco). La Verità consiste nel cogliere questa intelligenza che governa ogni cosa, al di là dei sensi: le opinioni degli uomini sono basate per lo più su delle apparenze e quindi non sono veritiere, “i confini dell’anima non li potrai mai trovare, per quanto tu percorra le sue vie; così profondo è il suo logos”.

I primi filosofi sono considerati “naturalisti”. Da essi si differenzia Pitagora di Samo, anch’egli vissuto tra il VI e il V sec.a.c.; forma la sua scuola a Crotone: più che una scuola, si tratta di una sorta di setta religiosa, una confraternita nella quale le dottrine vengono conservate come dei segreti e nella quale vige un forte rigore gerarchico. Pitagora insegna che i numeri possono spiegare razionalmente i fenomeni dell’universo e che hanno anche un valore simbolico in vari aspetti dell’esistenza. L’apprendimento della verità, con i Pitagorici, non è più ricavabile semplicemente dall’osservazione della natura, ma dalla disciplina di iniziazione e dalla rivelazione. L’affermazione che “Uno sta al di sopra dei molti” significa che la vera saggezza umana consiste nella conoscenza dei principi e che, sul piano pratico, solo chi partecipa della rigida disciplina della scuola pitagorica può giungere alla verità: non era un caso che la maggior parte dei consiglieri dei re di allora fossero dei pitagorici.

Per Pitagora, tutte le cose derivano dai numeri (= si possono spiegare con i numeri); i numeri pari indicano l’indeterminato, il rettangolare e il femminile; quelli dispari il determinato, il quadrato e il maschile. Solo l’Uno è al di fuori di queste distinzioni: da esso procedono tutti i numeri, sia pari che dispari. Lo zero è sconosciuto ai Pitagorici (e, in generale, alla cultura di allora). Il numero perfetto è indicato nel 10, visivamente raffigurato come un triangolo equilatero, formato dai primi quattro numeri ed avente il numero 4 per ogni lato (la cosiddetta tetràktys).

Al pitagorismo dobbiamo l’idea per cui, se tutto è governato dai numeri, allora tutto è ordine: ordine in greco si dice kòsmos, perciò l’universo viene chiamato “cosmo”, ossia “ordine”. I cieli, ruotando secondo numero e armonia, producono una celeste musica di sfere (la musica era una delle più importanti materie di studio dei pitagorici). Il numero esprime ordine, razionalità e certezza; l’uomo, coi pitagorici, impara a vedere l’esistente con altri occhi: il mondo non è più dominato da potenze oscure e indecifrabili, ma è un ordine perfettamente penetrabile dalla ragione.

La cittadina di Elea dà origine ad un altro gruppo di pensatori di rilievo, gli Eleati. Senofane di Colofone nasce intorno al 570 a.c. ed è considerato il fondatore della scuola filosofica di Elea, nonostante vi siano testimonianze che lo danno girovago ancora novantacinquenne. Egli è senza dubbio un pensatore indipendente, non legato ad una scuola o a una zona precise. Il tema centrale dei suoi carmi è la critica alla concezione degli Dei di Omero ed Esiodo: l’errore più grande di quelle idee è l’antropomorfismo, cioè l’aver attribuito a delle divinità forme esteriori caratteristiche psicologiche e passioni tipiche degli uomini. Si tratta dunque di una contestazione a tutto quel sistema che ha contribuito alla diffusione dei valori insegnati ai giovani greci nei secoli precedenti, un cambiamento di cultura, un taglio netto alla tradizione radicata nelle credenze popolari. La filosofia di Senofane si spinge fino alla messa in discussione di quel sistema valoriale secondo cui la forza dovrebbe avere lo stesso valore della sapienza nell’educazione dei giovani: egli si fa portatore dell’idea secondo cui l’intelligenza vale molto più della fisicità e il massimo onore va dato alla formazione della mente più che all’irrobustimento del corpo. Inoltre Senofane introduce l’idea di un Dio-cosmo equivalente all’Uno pitagorico, e indicando nella terra l’archè originario dell’esistere, intende dare un principio alla realtà vissuta dall’uomo, non al cosmo intero che di per sé non nasce, non muore e non diviene.

Parmenide di Elea vive tra il VI e il V sec.a.c. ed è il vero protagonista della scuola eleatica. Avviato alla filosofia da un pitagorico, diventa un politico attivo e, soprattutto, è l’innovatore della filosofia naturalista, pensatore rivoluzionario che trasforma la cosmologia tradizionale in ontologia (teoria dell’essere). Il suo poema Sulla natura è messo in bocca ad una Dea, da cui egli è condotto su un carro tirato dalle figlie del sole che varca le porte, custodite dalla Giustizia, dei sentieri del Giorno e della Notte. La Dea gli si rivolge indicandogli le tre vie: quella della verità assoluta, quella delle opinioni fallaci, quella dell’opinione plausibile.

La prima via indica il cuore della verità (è la via della ragione, il sentiero del Giorno), cioè il principio che sta alla base di tutta l’ontologia da Parmenide in poi: l’essere è e non può non essere, il non essere non è e non può in alcun modo essere; per “essere” si intende il puro positivo, per “non essere” il puro negativo e l’uno è il contraddittorio dell’altro. La giustificazione di questo grande principio la fornisce Parmenide stesso scrivendo che tutto ciò che uno pensa e dice, è: pensare il nulla e dire il nulla significa non pensare e non dire. La filosofia occidentale svilupperà questo concetto nelle suoi aspetti logici, linguistici e conoscitivi e ne farà il caposaldo del suo stesso esistere. L’essere, nella accezione parmenidea, è il presente eterno, senza inizio e senza fine, immutabile ed immobile, limitato e finito (nel senso di compiuto e perfetto).

La seconda via è quella dell’errore (la via dei sensi, il sentiero della Notte): sono i sensi che ingannano l’uomo affermando l’esistenza del nascere, del morire e del divenire: tutte queste caratteristiche non fanno l’essere e sono quindi ingannevoli: il non essere non è nemmeno pensabile perché non esiste.

La terza via è ammessa per dar conto ai fenomeni e alle apparenze delle cose, purché non entrino in contraddizione col principio originario. Le tradizionali cosmogonie si basavano sulla dinamica degli opposti, dei quali uno era il positivo e rappresentava l’essere, l’altro il negativo rappresentante del non-essere. L’errore per Parmenide stava nel non aver capito che gli opposti devono pensarsi come inclusi nell’unità dell’essere: gli opposti sono ambedue essere.

Questa terza via finisce per favorire interminabili discussioni e mostra numerose aporie nella filosofia parmenidea, ad esempio rispetto all’innegabilità del movimento e della molteplicità. Tra coloro che tentano di rispondere ai nemici della scuola di Parmenide vi è Zenone di Elea, vissuto nel V sec.a.c., uomo di straordinaria cultura, primo studioso e praticante della dialettica; tra le argomentazioni da lui riportate ricordiamo: quella dell’uomo che tenta di raggiungere una meta ma non vi riesce per via del moltiplicarsi delle metà del percorso da fare; quella di Achille che per lo stesso motivo non riesce a raggiungere la tartaruga; e infine quella della freccia che scoccata dall’arco è ferma (mentre tutti la credono in movimento) perché, in ciascuno degli istanti in cui è divisibile il tempo del volo, la freccia occupa uno spazio identico.

Anche Empedocle di Agrigento (484-424 a.c.) cerca di risolvere i vuoti della filosofia eleatica: così come Parmenide, decreta impossibili il nascere e il morire dell’essere, che per definizione è e quindi non può avere un’origine e una fine. Quanto a aria, acqua, terra e fuoco, Empedocle li definisce come “radici di tutte le cose”, proclamando l’inalterabilità di ciascuna di esse e dando così origine alla concezione pluralistica, e introduce le “forze cosmiche” col nome di Amore e Odio (causa, rispettivamente, dell’unione e della separazione degli elementi).

Una nota va fatta su Anassagora di Clazomene (500-428 a.c.) per la divisione in “semi” (intesi come infiniti per qualità e quantità) degli elementi primari, semi che per il loro essere-divisibili-in-parti-sempre-uguali prendono il nome di omeomerie. Questa idea viene approfondita da Democrito di Abdera (seconda metà del V sec.a.c.), che ribadisce l’impossibilità del non-essere e attesta l’aggregarsi e separarsi degli elementi quali determinazioni del nascere e del morire; egli è colui che dà a questi elementi, invisibili per piccolezza e volume, il nome di atomi.

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