“Papyrus” a Inarzo il 21 marzo

“Papyrus” nasce da un desiderio e da un’idea.
Il desiderio era quello di scrivere un romanzo: forse qualcosa da cui passa ogni aspirante scrittore e nemmeno io sono rimasto sordo a questa piacevole tentazione – per quanto nasca come poeta e autore di racconti. Per la testa mi giravano tante storie, da tanto tempo; si trattava quindi di capire quale di queste mi suonasse meglio, o almeno quale fosse quella più completa già nel mio immaginario. Per un po’ ho giocato con gli incipit (o presunti tali) e ho abbozzato degli schemi narrativi, degli intrecci, dei finali. Volevo che la mia storia contenesse qualcosa di un po’ misterioso, che ci fosse un protagonista “valoroso” (non un eroe, ma una persona che si assumesse l’onere e l’onore di addossarsi degli ideali, una certa purezza, un senso del bene che trascendesse i luoghi comuni); volevo che ci fosse una storia d’amore, ma che non fosse un amore “facile”, piuttosto un amore in grado di sopravvivere alle bufere e vincere nonostante tutto. Volevo narrare dell’eterna lotta tra il bene e il male, ma volevo farlo in un modo un po’ atipico, uscendo dagli stereotipi e magari sporcando di polvere il “bene” e lasciando intuire il “male” in modo sottile. Insomma, volevo un po’ tutte queste cose e, tra le varie bozze che infine mi sono trovato tra le mani, il “mio” cavaliere Falander, il suo indomito senso del dovere, la sua “passione” (lo scrivo tra virgolette perché intendo sia il patire che l’essere passionale), sono stati la scelta più consona al desiderio iniziale. A Falander bisognava però costruire un mondo intorno: un obiettivo da raggiungere, dei facilitatori, degli antagonisti, un governo superiore, e tutti quegli elementi che in un racconto diventano strutturali. Benché avessi indubbiamente pescato, per creare il mio personaggio, dal mare grande delle novelle cavalleresche, del mito di Camelot e della Tavola Rotonda, e anche dell’incantevole universo tolkieniano, mi sarebbe piaciuto calare la storia dentro un contesto che fosse il più possibile realistico: far fare al protagonista qualcosa che avrebbe in qualche modo potuto spostare degli equilibri esistenti.
Qui è arrivata l’idea. C’è un periodo storico che mi ha sedotto fin dagli studi dell’adolescenza: quello Rinascimentale; non tanto per lo sviluppo delle monarchie nazionali o per la modernità sottesa all’impero di Carlo V (che si inventa un progetto di accentramento del potere tipico degli Stati moderni) e nemmeno per l’allargamento di orizzonti provocato dalle prime espansioni coloniali verso il Nuovo Mondo – argomenti che peraltro nel romanzo vengono trattati. Piuttosto, per la diatriba religiosa innescata da Lutero e culminata nello scisma tra cattolicesimo e protestantesimo, un argomento nel quale ancora, ogni tanto, mi arrovello domandandomi (e considerando) quanta ottusità vi sia dietro l’incaponirsi dogmatico in una dimensione, quella spirituale, che dovrebbe invece elevare la dignità umana. E allora, perché non mettere il mio personaggio dentro questa vicenda, trovargli un pretesto d’azione (il Papyrus, appunto), fargli raccontare questi turbamenti? E perché non fargli vivere lì dentro una tormentata storia d’amore? Così il racconto è diventato “storico”.
Un desiderio e un’idea. E’ stato bello nuotare nella storia con una…storia inventata; creare degli intrecci (politici, economici, religiosi), stuzzicare le verità assolute, portare tutto ad una dimensione umana e sofferta; è stato bello caratterizzare diversi personaggi che in qualche modo incarnassero i differenti punti di vista di quell’epoca così complessa e rigogliosa.

“Papyrus” è pubblicato da un paio d’anni, ma finora non gli ho ancora dato lo spazio che si meriterebbe. L’occasione offertami da Emiliano Pedroni e dal Comune di Inarzo (si veda la locandina in foto) è senz’altro propizia per cominciare a parlarne: appuntamento dunque presso la biblioteca il 21 marzo alle 21:00.

 

Emanuele Martignoni

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