LA’ DOVE STA IL MIRACOLO. Western Stars: suggestioni dal nuovo album di Bruce Springsteen

Oggi sono seduto sulle ginocchia del nonno, in una calda sera d’inizio estate. Lui sorseggia del vino rosso, io succhio acqua e menta dalla cannuccia, sul tavolo c’è qualche fetta d’anguria; alla tv passa un vecchio film western. Mi piace guardare film western in braccio al nonno; anche se non sempre capisco le storie e i dialoghi, resto comunque conquistato da quegli scenari sconfinati che fanno da sfondo alle fughe solitarie di cowboys e indiani, da quei suoni così ben riusciti in grado di portarmi la testa in terre sconosciute, misteriose e affascinanti. Vorrei essere uno di loro, a volte. Un cowboy o un indiano. Vorrei vagare anch’io per quella terra senza nome e senza fine. Il nonno dice alla nonna qualche parola in dialetto, ogni tanto mi passa una mano tra i capelli scompigliandoli. Entra un refolo di brezza ad alleggerire il caldo della giornata steso a rinfrescarsi sui vialetti di beole del giardino. Si alza vento sulle vie polverose di Tucson. Esco galoppando verso l’orizzonte chasin’ wild horses, inseguendo cavalli selvaggi. Le ginocchia del nonno mi fanno ondeggiare, mentre provo a capire quale posto potrebbe andar bene per essere chiamato casa, o se sia meglio continuare ad andare alla deriva di città in città come un vagabondo – I’m a wayfarer, baby, I drift from town to town. Sono giorni nei quali il tempo passa lento; alla mia età, quando finisce la scuola, comincia il periodo nel quale le giornate cambiano ritmo, smettono di essere affaccendate, colorano ore e pelle con la polvere della strada sterrata ove si susseguono interminabili i giochi inventati da noi bambini indomiti cacciatori di fantasmi e audaci allevatori di cornacchie, fino a che la voce di mamma ci chiama per la cena – e torniamo anche se siamo a venticinquemila miglia da dove vorremmo essere, I’m twenty-five hundred miles from where I wanna be – e per ringraziare Iddio di quest’altra giornata. L’aria al tramonto profuma di aglio selvatico e il suono della sera è lo stridio dei grilli e delle cicale. A quest’ora non fa niente se abbiamo le ginocchia sbucciate, e non ci preoccupa alcun domani, don’t worry about tomorrow, don’t mind the scars, ma è tutto un presente di belle sensazioni, di calma, di sogni aperti, di quiete. Non so di essere un bambino fortunato, tutta questa bellezza mi è stata regalata senza averla chiesta; lo scoprirò diventando grande e imparerò ad essere grato per tutto ciò che ho avuto. Per questa notte, le stelle dell’ovest brilleranno ancora luminose – tonight the western stars are shining bright again.

Non voglio fare il critico musicale di Western Stars; non lo sono, non desidero esserlo. Ma, come ho avuto modo di dire in più occasioni, sono un narratore di suggestioni, racconto i vissuti, le esperienze, i ricordi, gli aneddoti che le canzoni di Springsteen evocano in me. Sto ascoltando il nuovo album dall’inizio di questo pomeriggio, ascoltando e riascoltando. E ciò che mi rimanda è quanto ho cercato di descrivere sopra. Bruce, impreziosendo ancora una volta il suo stile cantautorale, ci regala una piccola perla sonora che porta con sé l’eco di un tempo andato, un angolo nostalgico di cuore, qualcosa che risuona nel profondo dell’anima e che prende i colori e le sfumature e l’odore delle radici: quel tesoro incastonato nel fondo dell’anima dove va ad abitare l’unicità di ogni essere umano, dove va a stare il miracolo di ogni sé – there goes my miracle.

Emanuele Martignoni

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