tracce di storia del pensiero educativo: 7.L’ILLUMINISMO E LE SUE CONTRADDIZIONI

  1. L’ILLUMINISMO E LE SUE CONTRADDIZIONI

Il Settecento è il secolo nel quale si vive come una “doppia anima”: da un punto di vista storico, il graduale instaurarsi di situazioni stabili nell’assetto politico con una generale apertura riformistica da parte di alcuni sovrani che ha portato al definirsi dell’ “assolutismo illuminato”, ha dovuto fare i conti con alcune rivolte a fine secolo che hanno mutato la stabilità agognata in cambiamento totale (si pensi alla Francia e alla rivoluzione francese del 1789, all’Inghilterra e alla guerra di indipendenza vinta dalla nuova confederazione statunitense fra il 1776 e il 1787); da un punto di vista socioeconomico, la rivoluzione industriale che prende il via dall’Inghilterra per poi espandersi nel secolo successivo in tutta Europa, rivela accanto ai vantaggi evidenti del progresso altrettanto evidenti drammi sociali legati all’involuzione nella miseria della popolazione più povera e più propensa all’essere utilizzata per la manodopera; da un punto di vista culturale, la diffusione delle idee illuministe – peraltro strettamente legate al piano sociale e politico – ha creato una spaccatura netta con la tradizione ribaltando i fondamenti stessi dell’autorevolezza istituzionale a favore dei principi di uguaglianza e libertà che però la stessa rivoluzione francese rinnegherà con il terrore. La filosofia e la pedagogia, infine, risentendo esse stesse di questa contraddittorietà, nell’esigenza di continuare a tracciare le strade imboccate dalle scuole razionaliste ed empiriste, arrivano a toccare le vette più alte del pensiero critico con la fondazione della filosofia trascendentale di Kant e a sovvertire le regole educative con il rivoluzionario esperimento pedagogico di Rousseau.

L’Illuminismo prende il via in Francia per poi fare proseliti soprattutto in Inghilterra e in Italia. Un gruppo di pensatori francesi illuminati, formato tra gli altri da D’Alambert, Diderot, Voltaire e Condillac, tra il 1751 e il 1780 pubblica in più di trenta volumi l’Enciclopedia con l’intento di rendere accessibile e chiaro per tutti il sapere accumulato dall’umanità nel corso della storia e con l’obiettivo di offrire ai lettori una nuova interpretazione del mondo e probabilmente della stessa filosofia. L’idea di fondo è quella che intende considerare buona cosa tutte le opere dell’uomo, un’idea molto ottimistica che sottolinea la fiducia nelle capacità dell’uomo stesso  – ricercatore e indagatore – di risolvere col progresso i problemi del mondo (concetto poi ripreso a piene mani dal Positivismo nella seconda metà dell’Ottocento). Il primo passo da svolgere per raggiungere questo obiettivo è secondo gli Illuministi quello di ricreare l’educazione e i suoi metodi disattivando il monopolio religioso della formazione per delegarlo allo Stato, ad un sistema scolastico nazionale in grado di originare un nuovo ordine sociale; questo però genera immediatamente il problema dell’istruzione popolare: gli Illuministi pensano per lo più in nome della borghesia e quindi dare istruzione ai ceti più bassi può risultare pericoloso, casomai si potesse instaurare in costoro l’idea di poter fare a meno dei lavori manuali e faticosi (chi avrebbe provveduto a dare braccia al progresso?). Si arriva così a differenziare i percorsi scolastici a seconda del ceto di appartenenza…una manovra senza dubbio poco egualitaria, giustificata dal voler dare la possibilità anche ai poveri di apprendere lettura, scrittura e conti oltre a qualche nozione finalizzata all’acquisire tecniche di lavoro. I moti che portano alla rivoluzione francese inducono poi a considerare l’educazione quale veicolo primo per la formazione politico-sociale del cittadino attivo, protagonista delle sorti della sua comunità e volto a dare la vita per i principi di fratellanza, uguaglianza e libertà; anche se non è bastato, ci ha detto la storia, schierarsi contro le ingiustizie per evitare lo sproloquio di morti e torture immediatamente seguiti alla rivoluzione stessa.

Per quanto riguarda l’Italia, le idee illuministe trovano spazio e voce a Milano sul giornale Il Caffé, che alimenta un notevole dibattito culturale negli stessi anni in cui lo scritto di Cesare Beccaria Dei delitti e delle pene propone la prevenzione e la correzione al posto della pena di morte e della violenza.

 

7.1 Jean-Jacques Rousseau (1712-1778)

L’uomo della svolta in campo educativo è protagonista di una vita turbolenta e movimentata. Educato dal padre (la madre era morta durante il parto) in un contesto di media borghesia nella Ginevra calvinista di cui ricorderà sempre gli aspetti di egualitarismo sociale e libertà, Jean-Jacques cresce convinto che le capacità e la bravura degli uomini li distinguono più delle ricchezze e delle proprietà. Affidato dodicenne alle cure di un prelato, fugge arrangiandosi nelle più svariate professioni per sopravvivere, finché arriva a Parigi dove scrive saggi e articoli per gli Illuministi dell’Enciclopedia, copia musica e redige commedie mai rappresentate. Stimolato dal bando di un concorso (cui partecipa vincendo) sul tema del progresso, dal 1750 orienta le sue energie agli studi pedagogici e alle sperimentazioni educative. La sua prima opera di rilievo è uno sviluppo dello scritto con cui aveva vinto il concorso e porta il titolo di Discorso sull’origine della disuguaglianza tra gli uomini (1755). Dalle sue parole si evidenzia immediatamente l’accusa rivolta all’utilizzo distorto che gli uomini hanno fatto del progresso, rendendolo il pretesto maggiore delle disuguaglianze sociali: l’atteggiamento dell’uomo, che originariamente – nel primitivo stato di natura – era caratterizzato da amore verso di sé, man mano che la civiltà si è sviluppata e il progresso ha preso il largo, è diventato egoismo e amor proprio. Nel 1762 vengono pubblicate le opere di Rousseau che segnano la svolta nell’approccio pedagogico: il Contratto sociale e l’Emilio o dell’educazione, opere che provocano le immediate reazioni da parte degli stessi Illuministi (che rinnegano il loro legame con Rousseau colpevole, secondo loro, di essere critico verso la ragione e favorevole ai sentimenti e alla religiosità), e delle autorità cattoliche e calviniste (secondo le quali la religione presentata da Rousseau è sì profondo, ma assolutamente lontana dall’ortodossia). Per sfuggire a queste dure reazioni, Rousseau lascia la Francia per la Svizzera prima e l’Inghilterra poi; tornerà infine a Parigi per lavorare ancora come copista di musica e per lavorare alle Confessioni, la sua memoria autobiografica, fino alla morte.

Lo scopo dichiarato del Contratto sociale è quello di prospettare all’uomo la possibilità di vivere senza essere schiavo delle convenzioni, libero e rigenerato e lui stesso in grado ridare vita alla società cui appartiene. Perché ciò avvenga bisogna stabilire un nuovo contratto sociale, un contratto che consenta agli uomini di non perdere la loro originaria essenza libera, pur nel rispetto della libertà altrui; come avviene questa evoluzione?: adeguando la propria volontà personale alla volontà generale. Se ogni uomo diventa capace di rinunciare alla propria libertà totale, la società stessa ne riceve un grande beneficio, poiché vi si vive con senso di responsabilità e rispetto. Ciò vale anche nello specifico della proprietà privata, un diritto del cittadino che lo Stato ha il dovere di garantire, ma che viene resa possibile solo stanti alcune precise condizioni: non vi debbono già essere altri abitanti, la zona occupata deve essere grande il giusto per viverci, la privatizzazione deve essere legittimata dal lavoro (agricolo, nel caso della proprietà terriera cui pensava Rousseau); la proprietà perciò va di pari passo con l’idea di lavoro, secondo l’idea borghese per cui si è proprietari di ciò che si produce.

Emilio è il romanzo pedagogico forse più importante nella storia del pensiero educativo occidentale: dietro la premessa della negatività dell’educazione, per cui bisogna che ogni uomo venga d’ora in poi educato perché è un uomo e non in base allo status sociale e alle condizioni economiche, per la prima volta viene affrontato il processo di crescita guardando con particolare attenzione a tutte le fasi dello sviluppo dell’individuo che da infante  (I libro) diventa bambino (II libro), poi fanciullo (III libro), poi adolescente (IV libro) e infine adulto (V libro). Il che significa che il bambino, dall’infanzia all’adolescenza, nell’ottica rousseauniana non è più visto come un uomo non ancora completamente formatosi, ma come un’entità con caratteristiche precise, definite e necessarie. Rousseau cerca di far selezione sulle variabili che influiscono nel percorso di crescita inserendo Emilio in una sorta di esperimento mentale che inizia considerando il bambino come un essere puro e innocente – perché così è stato creato da Dio, e proprio per questo la responsabilità dei suoi mali è dovuta all’educazione che riceve successivamente. Per evitare nefaste influenze, Emilio viene condotto dal suo precettore in campagna, a vivere secondo natura, cioè ad imparare a sviluppare le sue abilità e facoltà, oltre che stare in posto che è appartato e lontano dalla città, quindi dal quel progresso che, come si è visto, può causare disuguaglianze. La situazione di distacco dalla civiltà, permette ad Emilio di intraprendere un rapporto attivo con gli oggetti e gli eventi che incontra nella sua crescita e di ascoltare i processi della sua interiorità; inoltre, la presenza al suo fianco del precettore, ha la funzione di preservarlo dalla corruzione e dai pregiudizi, apparentemente senza “educarlo”, solo opportunamente consigliandolo e vegliando sulla sua incolumità, ma lasciando che si educhi da sé, nella convinzione che è l’esperienza a dare lezioni di vita. Fino al termine della fanciullezza, l’attenzione è posta soprattutto sugli aspetti fisici e sensoriali della crescita, così che il piccolo Emilio possa svilupparsi in agilità e prontezza corporea; poi inizia il suo percorso di formazione spirituale e intellettuale, sempre però a diretto contatto con le cose e dentro l’esperienza, in modo che la sua intelligenza si affini e impari ad elaborare e rielaborare. Nessuno deve sovrapporsi a lui in questo processo, la presenza del precettore non muta gli intenti originari: egli veglia e consiglia, stimola e favorisce l’incontro di Emilio con gli oggetti del suo apprendimento, ma non forza, non dà lezioni. Il che significa, a ben guardare, definire sempre le condizioni di apprendimento dell’educando facendogli pensare di essere creatore e autore della sua esperienza, ma sapendo che è chi educa colui che stabilisce e pone in essere le condizioni perché il processo educativo avvenga.

Emilio nel frattempo ha raggiunto l’adolescenza e impara anche una professione (il falegname): quando rientrerà in società dovrà essere pronto a fare la sua parte e a legittimare i suoi guadagni. Ma in questa età bisogna che Emilio affronti ancora due questioni di rilevante importanza: la formazione religiosa (per la quale deve essere condotto a riconoscere la bontà della creazione di Dio partendo dai sentimenti del suo cuore, originariamente puro e capace di sovrastare le malvagità) e la relazione con l’altro sesso. La compagna prescelta per Emilio è Sofia, una giovane educata secondo la natura femminile ad essere una buona moglie e madre (si noti qui la disparità di trattamento: per Emilio ci si auspica una formazione non convenzionale, Sofia deve adeguarsi in tutto e per tutto alle convenzioni sociali…).

Questa concezione educativa assai diversa da tutte quelle proposte finora, pone Rousseau in una situazione privilegiata nella storia della pedagogia: egli è figlio dell’Illuminismo e quindi non mancano rimandi alle impostazioni care ai suoi contemporanei, soprattutto quando ribadisce con forza la preminenza di un’educazione diretta e personalizzata; ma è anche un precursore dei Romantici per il suo atteggiamento incline al sentimento e per il suo insistere sugli aspetti naturali di ogni fase dello sviluppo. Senz’altro è un personaggio originale; oltre al già citato pregio di aver guardato ad ogni fase del processo di crescita dell’individuo in modo chiaro e particolareggiato, il suo pensiero ha avuto molta influenza non solo sui pedagogisti che dopo di lui hanno aperto le porte a nuove esperienze e progettualità educative (come per esempio tutta la cosiddetta “educazione attiva” che si svilupperà a fine Ottocento), ma anche su uomini che, pur non facendo della pedagogia la loro scienza primaria, hanno non poco influito sulla storia della cultura europea e mondiale, a cominciare da Kant.

 

7.2 Immanuel Kant (1724-1804)

Kant è probabilmente la più grande mente della filosofia moderna ed è noto per essere il fondatore della filosofia trascendentale, ossia della teorizzazione delle forme mentali che consentono di organizzare in modo adeguato i dati della conoscenza e che vivono solo in stretto contatto con l’esperienza concreta, pur essendo indipendenti da essa (il termine trascendentale è creato dallo stesso Kant e si differenzia dal trascendente, che invece grazie a Platone venne usato per indicare il mondo ideale che sta sopra quello sensibile). Le sue opere più importanti e fondamentali per lo sviluppo del pensiero filosofico sono: La critica della ragion pura (1781), La critica della ragion pratica (1787), La critica del giudizio (1790).

Kant nasce, vive, insegna e muore a Konigsberg, nella Prussia orientale. Educato al pietismo (setta religiosa che si opponeva alla rigidità del luteranesimo e del calvinismo) dalla madre, ha modo di confrontarsi presto con le tematiche della disciplina autoindotta e della libertà della coscienza, concetti che saranno tra le colonne portanti del suo pensiero.

La filosofia di Kant si muove a partire dalle possibilità della conoscenza dell’individuo; domandandosi se sia possibile una conoscenza di ciò che non è sensibile, arriva a dimostrare come in realtà ciò che noi conosciamo è sempre e necessariamente legato all’esperienza, o meglio: è una sintesi di contenuti sensibili e di alcune forme pure, i primi dati a posteriori, le seconde a priori. Tutto ciò che ha pretesa di verità senza la possibilità della dimostrazione sottintende la premessa Io penso. Kant così va oltre le posizione sia dell’empirismo che del razionalismo: la sua posizione critica supera la barriera instabile dei dati sensibili quali fruitori unici di conoscenza e rifugge dall’accettare la presenza di idee innate a fondamento della conoscenza di realtà superiori (come Dio, l’anima o gli stessi valori morali ed estetici), idee che portano ad identificare lo spirito dell’uomo ad una sorta di non meglio definita ragione assoluta. La fondazione trascendentale esclude perciò la metafisica; l’uomo è in grado di conoscere l’ordine del reale organizzandolo ed agendo su di esso con volontarietà: la conoscenza chiama in causa l’utilizzo della ragion pura perché necessita di principi logici e formali che diano senso e struttura alla dinamicità delle esperienze sensibili; l’azione volontaria si rifà alla ragion pratica, cioè a quella serie di imperativi che la ragione presenta alla volontà con lo scopo dell’agire morale. La volontà dal canto suo è libera di seguire o no queste indicazioni attuando, a seconda della sua scelta, il bene universale o il piacere personale. Il primo di questi imperativi è quello che invita ad agire secondo una volontà che possa elevarsi a legge universale, una sorta di criterio del buon senso possibile a tutti gli uomini e non solo ai sapienti; ad esso segue l’appello ad agire in modo da trattare sempre e in ogni riguardo l’umanità come un fine e mai come un mezzo, ideale pratico apparentemente difficile da raggiungere, ma  – annota Kant – è bene che ci comportiamo come se l’umanità già fosse una comunità fondata su principi razionali e leggi ideali, dando così in prima persona l’esempio. Questo dovere (o Io devo) cui tutti siamo chiamati, sta alla base della stessa nostra libertà: noi siamo liberi quando attuiamo spontaneamente le nostre scelte morali e quindi, attraverso questo modo di agire che esalta il sentimento etico, intuiamo l’idea di libertà  – idea non dimostrabile con la ragione, ma evidentemente esistente perché ci permette di scegliere come agire. La morale pratica allora è uno sforzo continuo di volontà, non è qualcosa di appreso o imparato, piuttosto è un sentire profondo che via via si perfeziona. Il senso del dovere così postulato da Kant rende ragione alla libertà e alla moralità e recupera anche l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima (che razionalmente continuano ad essere inspiegabili) come esigenza necessaria di ricompensa oltre la vita terrena.

Da un punto di vista prettamente educativo, Kant nei suoi corsi di filosofia tiene dei seminari specifici di pedagogia e le sue lezioni vengono raccolte da un assistente (Theodor Rink) e pubblicate nel 1803 in un volumetto dal titolo Pedagogia. È facile pensare che quanto esposto in quelle pagine riprendesse i temi cari al filosofo e già esplicitati nelle Critiche. Kant si dice conquistato dal pensiero di Rousseau al quale riconosce di avergli fatto chiarezza in materia educativa e morale. Infatti, il nostro filosofo si sofferma spesso su considerazioni inerenti le possibilità e le capacità originarie e interiori dell’uomo, sottolineando anche la necessità di collegare l’opera educativa a quella di buon governo, poiché – come è facile intuire – scopo dell’educazione deve essere l’etica, l’azione morale, nel senso di permettere che ogni uomo sviluppi le sue proprie capacità di scelta in modo libero basandosi sul presupposto degli imperativi che la ragione sottopone alla volontà. Ne consegue che il lavoro educativo non dovrà coincidere con l’indurre l’educando all’obbedienza del singolo educatore, bensì condurlo a riconoscere la legge universale che abita dentro di lui e sulla quale può costruire la sua realizzazione attraverso un sempre più proficuo utilizzo della ragione.

Due cose riempiono l‘animo di ammirazione e riverenza sempre nuove e crescenti,
quanto più spesso e più a lungo il pensiero vi si ferma sopra:
il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me.

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