WELCOME, NOVEMBER! (il mese di novembre nei versi dei Nostri poeti)

Novembre
Giovanni Pascoli

Gemmea l’aria, il sole cosi chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l’odorino amaro
senti nel cuore…

Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.

Silenzio intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. È l’estate
fredda dei morti.

 

Ognissanti
Alessandro Manzoni

Cercando col cupido sguardo,
Tra il vel della nebbia terrena,
Quel sol che in sua limpida piena
V’avvolge or beati lassù;

Il secol vi sdegna, e superbo
Domanda qual merto agli altari
V’addusse; che giovin gli avari
Tesor di solinghe virtù.

A Lui che nell’erba del campo
La spiga vitale ripose,
Il fil di tue vesti compose,
Del farmaco i succhi temprò;

Che il pino inflessibile agli austri,
Che docile il salcio alla mano,
Che il larice ai verni, e l’ontano
Durevole all’acque creò;

A Quello domanda, o sdegnoso,
Perché sull’inospite piagge,
All’alito d’aure selvagge,
Fa sorgere il tremulo fior,

Che spiega dinanzi a Lui solo
La pompa del candido velo,
Che spande ai deserti del cielo
Gli olezzi del calice, e muor.

E voi che, gran tempo, per ciechi
Sentier di lusinghe funeste
Correndo all’abisso, cadeste
In grembo a un’immensa pietà;

E come l’umor, che nel limo
Errava sotterra smarrito,
Da subita vena rapito,
Che al giorno la strada gli fa,

Si lancia, e seguendo l’amiche
Angustie con ratto gorgoglio,
Si vede d’in cima allo scoglio
In lucido sgorgo apparir;

Sorgeste già puri, e la vetta,
Sorgendo, toccaste, dolenti
E forti, a magnanimi intenti
Nutrendo nel pianto l’ardir;

Un timido ossequio non veli
Le piaghe che il fallo v’impresse:
Un segno divino sovr’esse
La man, che le chiuse, lasciò.

Tu sola a Lui festi ritorno
Ornata del primo suo dono;
Te sola più su del perdono
L’Amor che può tutto locò;

Te sola dall’angue nemico
Non tocca né prima né poi;
Dall’angue, che appena su noi
L’indegna vittoria compiè,

Traendo l’oblique rivolte,
Rigonfio e tremante, tra l’erba,
Sentì sulla testa superba
Il peso del puro tuo piè.

 

Novembre
Vincenzo Cardarelli

C’è un giorno che tutte le formiche escono dal bosco
a fare il fascio per l’invernata.
Sopraggiungono, di lì a poco,
le lunghe piogge autunnali,
simili a un gran pianto dirotto, interminabile.
È un pianto che sgorga a fiumi, a torrenti,
fa crescere il lago, solca le strade, rovina i ponti
e dilaga per i campi ostinatamente verdi.
I muri si ricoprono di vellutina.
Quando più nessuno se l’aspetta,
un sole freddoloso, più prezioso dell’oro vecchio,
torna poi, ogni mattina,
a trovare le foglie gialle d’acacia
che piovono ancora sui davanzali,
le foglie secche dei platani
che il vento trascina lungo i viali.

 

San Martino
Giosuè Carducci

La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;

ma per le vie del borgo
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor dei vini
l’anime a rallegrar.

Gira su’ ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
su l’uscio a rimirar

tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar.

 

Autunno
Carlo Emilio Gadda

Tàcite imagini della tristezza
Dal plàtano al prato!
Quando la bruma si dissolve nel monte
E un pensiero carezza
E poi lascia desolato – la marmorea fronte;
Quando la torre, e il rattoppato maniero,
Non chiede, al vecchio architetto, più nulla:
Allora il feudo intero – fruttifica una susina
Bisestile, alla collina
Dolce e brulla.
Tace, dal canto, il prato.
Il pianoforte della marchesina
Al tocco magico delle sue dita
S’è addormentato:
E dopo sua dipartita – l’autunno
S’è scelto un nuovo alunno:
Il passero!, lingua di portinaia
Dal gelso all’aia:
E il cancello e lo stemma sormonta
La nenia del campanile – e racconta
I ritorni, all’aurata foresta:
Garibaldeggia per festa
Sopra il travaglio gentile
Perché alla bella il ragazzo piaccia,
Quello che lassù canta, quello che lassù pesta.
Il vecchio marchese ha inscenato una caccia
Con quindici veltri, e galoppa,
Diplomatico sconsolato
Sul suo nove anni reumatizzato.
Della volpe nessuna notizia, nessuna traccia!
Il cavallo ha un nome inglese: e il corno sfiatato
Assorda nella tana il ghiro
Che una nocciòla impingua!
Al dodicesimo giro
La muta s’è messa un palmo di lingua
E, mòbile macchia, cicloneggia bianca
Nella deserta brughiera
Là, verso il passaggio a livello,
Dove arriva stanca,
Salendo, la vaporiera.
Passa il merci e il frenatore – più bello,
Lungo fragore! – vana bandiera!
Ha incantato la cantoniera.
Ecco il diretto galoppa – verso città lontane
E il cavallo inglese intoppa
Negli sterpi dannati e calpesta
I formicai vuoti e le tane.
Ma dal campanile canta l’ora di festa – canta
Tristezze vane!

 

Autunno
Gianni Rodari

Il gatto rincorre le foglie
secche sul marciapiede.
Le contende (vive le crede)
alla scopa che le raccoglie.
Quelle che da rami alti
scendono rosse e gialle
sono certo farfalle
che sfidano i suoi salti.
La lenta morte dell’anno
non è per lui che un bel gioco,
e per gli uomini che ne fanno
al tramonto un lieto fuoco.

 

Nella nebbia
Giovanni Pascoli

E guardai nella valle: era sparito
tutto! Sommerso! Era un gran mare piano
grigio, senz’onde, senza lidi, unito.
E c’era appena, qua e là, lo strano
vocio di gridi piccoli e selvaggi;
uccelli sparsi per quel mondo vano.
E alto, in cielo, scheletri di faggi,
come sospesi, e sogni di rovine
e di silenziosi eremitaggi.

 

Sole autunnale
Giovanni Pascoli

E gracidò nel bosco la cornacchia:
il sole si mostrava a finestrelle.
Il sol dorò la nebbia della macchia,
poi si nascose e piovve a catinelle.
Poi, fra il cantar delle raganelle,
guizzò sui campi un raggio lungo e giallo.
Stupìano i rondinotti dell’estate
di quel sottile scender di stelle.

 

Pensiero d’autunno
Ada Negri

Fammi uguale, Signore, a quelle foglie
moribonde che vedo oggi nel sole
tremar dell’olmo sul più alto ramo.
Tremano sì, ma non di pena: è tanto
limpido il sole e dolce il distaccarsi
dal ramo, per congiungersi sulla terra.
S’accendono alla luce ultima, cuori
pronti all’offerta; e l’angoscia, per esse,
ha la clemenza d’una mite aurora.
Fa’ ch’io mi stacchi dal più alto ramo
di mia vita, così, senza lamento,
penetrata di Te come del sole.

 

Molte volte Novembre è ritornato
Margherita Guidacci

Molte volte Novembre è ritornato
Nella mia vita, e questo che oggi ha inizio
Non è il peggiore: quieto
Benché non privo di apprensioni. China
Mi trova su una culla, dove l’ultima
Mia nata dorme il misterioso
Profondo sonno dell’infanzia, ancora
Ospite più che cittadina in questo
Nostro mondo per lei straniero. Sento
La dolce ondata del latte salirmi
Al seno: tenerezza
Che di sé gonfia tutte le mie fibre,
Dilata i miei confini. Qui lo stanco
Sangue si rifà puro a una segreta
Sorgente, si rifà vergine e può
Calmar la sete di vergini labbra.
Il mio corpo è strumento di miracolo
Come già fu nel dare vita. Il seno
È la collina favolosa, scorrono
I fiumi d’abbondanza in un’età
D’oro, che segnerà
Per la creatura ignara il più profondo
Alveo della memoria, a cui più tardi
Ritornerà nel sogno o nel dolore…
Per lei intatta è l’immagine; per me
Che ne sono occasione, la scolora
Già il tempo, amaramente. È forse l’ultima
Volta che ho un figlio al seno, poiché incalzano
Gli anni ad inaridire
La mia linfa. Oggi sono
Ancora un vivo albero, frusciante
Di foglie, benedetto
Di succhi, ma in cammino è la stagione
Spoglia che su di me si chiuderà.
Tanto più dolce è questa sosta, prima
Ch’io stessa sia l’autunno: pure un’ombra
Di presagio la vela e di paura.
Il passo si stende alle mie spalle
Come una lunga via. So del futuro
Solo una cosa: che difficilmente
Potrà uguagliare per me la durata
Del tempo ch’è trascorso.

 

Solitudine
Emanuele Martignoni

Come un velo di tristezza
Sulle barche addormentate

L’umida bellezza
D’una lacrima nascosta

Nell’anima

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.