Un futuro “indicativo”, tra distopia e amore.

Kathy è il Norfolk.
Se esiste un Norfolk geografico nel quale vanno a stare le cose perdute, ebbene abbiamo un esistenziale bisogno di un Norfolk umano che raccolga i ricordi, che non permetta alle storie di smarrirsi. Quel Norfolk è Kathy.
È una suggestione piacevole, quella della scoperta che vi sia al mondo un posto ove possiamo ritrovare quel che ritenevamo aver smarrito; per quanto sia soltanto una “diceria”, tanto basta per tenere in piedi speranze. Ishiguro ci mette di fronte a questo luogo del possibile lasciando a Kathy la lunga narrazione in prima persona delle vicende di una società superficialmente perfetta, nella quale gli esseri umani figli dell’evoluzione hanno trovato il modo di prolungarsi vita e benessere fisico grazie alla creazione in laboratorio di esseri umani paralleli dai quali attingere pezzi di ricambio. Kathy ci racconta tutto della sua crescita e della sua sempre più chiara acquisizione di consapevolezza circa il destino dei cloni. Ma c’è un elemento che sfugge alle leggi della scienza e della tecnologia, che vi passa in mezzo come acqua fra i sassi: un elemento che si chiama emozione, con tutto quel che ne deriva. I cloni sono talmente ben assemblati da poter sviluppare anche la dimensione emozionale. La quale, inevitabilmente, sfugge al controllo qualità dell’industria del benessere e trasforma la vicinanza in amicizia, l’errore in rabbia, la produttività in soddisfazione, il fallimento in frustrazione, il successo in felicità, il sesso in amore. Nei cloni che sviluppano in modo via via migliore le competenze sociali e biologiche, si amplifica l’eco dei sentimenti a cui imparano a dare un nome man mano che li incontrano. Mostrandoci così le emozioni nel loro “essere primitive”, belle perché percepite con innocenza.
Il linguaggio di Kathy è schietto, dettagliato e analitico: del resto, possiede la perfezione tecnica del clone, perciò è in grado di creare nessi, aprire incisi, formulare congetture grazie a cui nulla ci sfugge della (breve) vita degli studenti di Hailsham e dei Cottages, e nemmeno ci sfuggono la descrizione del dolore dei donatori e quella della solitudine degli assistenti. Nel ricordare il proprio percorso di vita, Kathy entra però nelle pieghe dell’esistenza: il narrare diventa un’operazione di re-cognition, va a fondo di ciò che potrebbe essere familiare o innocuo per prenderne di nuovo conoscenza; così le sue parole si perdono sovente nello stupore e nell’incanto e rendono ragione a percezioni intense e inaspettate, a desideri irrefrenabili, al coinvolgimento esistenziale delle relazioni, alla ricerca di bellezza e serenità che ogni vivente desidera e sogna – non è certo un caso che l’arte, centrale nella formazione scolastica dei giovani cloni, sia ciò che viene “collezionato” da Madame per testimoniare la presenza di un’anima in questi studenti. Allora il racconto di Kathy prende le vie della drammaticità e del romanticismo, si concede stati di grazia emotiva, sviscera il core del suo “esistere in questo modo”; nel percorso di crescita, lei e i suoi amici e compagni, tendono alla ricerca dei futuri possibili, delle alternative alla alienazione di un destino già tracciato, delle strategie che possano dare una svolta (o almeno un senso) ad una vita già scritta per loro.
Ishiguro ci offre il futuro agghiacciante della distopia: una società immaginaria dalle caratteristiche poco desiderabili nella quale le tendenze sociali appaiono oscure e misteriose, mettono paura, sono portate ad un estremo limite di sopportabilità; descrive un futuro che vuole essere letteralmente “indicativo”, a volerci indicare, appunto, quanto potremmo essere freddi e spietati se “usassimo” le relazioni e le interazioni sociali e le conoscenze soltanto per garantirci biecamente un prolungamento egoistico dell’esistenza. Ma nel controcanto di questo mondo oscuro, ci porta a seguire il fil rouge di una storia d’amore, quella di Kathy e Tommy, che anela al suo lieto fine – e ci fa soffrire sapendo che ci si trova solo nel momento in cui ci si sta per perdere. I dialoghi e le narrazioni che “puntellano” il cercarsi dei due nel corso di tutto il romanzo, il sentimento che li avvicina fin da quando sono bambini e che non li abbandona da grandi, sono le tracce delle lettere d’amore che non riusciamo più a scrivere, delle gentilezze silenziose che abbiamo smarrito. Sono il suono dolce e inestinguibile dei sentimenti e della bellezza che abbiamo perduto; ma ora sappiamo che esiste un Norfolk nel quale tutto si ritrova.

(Emanuele Martignoni)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.