tracce di storia del pensiero educativo: 8.L’ ETA’ ROMANTICA: IDEALI, ESPERIMENTI E PASSIONE

  1. L’ ETA’ ROMANTICA: IDEALI, ESPERIMENTI E PASSIONE

Il Romanticismo è un orientamento culturale che si diffonde in Europa tra la fine del XVIII e la prima metà del XIX secolo. Il termine, derivato dall’aggettivo inglese romantic (parola che stava ad indicare in senso spregiativo nel ‘600 le composizioni avventurose e amorose dei narratori), perso il suo significato negativo va a significare l’evasione fantastica dal reale. Esploso in Germania per esaltare l’anima nazionale tedesca in contrapposizione al predominio della cultura francese (illuministica e classicheggiante), il Romanticismo si diffonde poi in tutta Europa con diversi volti comprendenti la letteratura, l’arte, la musica e il pensiero. I temi fondamentali del Romanticismo si definiscono in opposizione al ‘700: la filosofia idealistica contro il sensismo, il sentimento e le passioni contro il razionalismo, la religiosità concreta contro l’ateismo, la difesa della tradizione dei popoli contro il cosmopolitismo.

Gli eventi storici della fine del ‘700, a partire dalla rivoluzione francese, avevano portato la civiltà europea a delle svolte forse impreviste, ma senza dubbio conseguenti ai fatti: gli ideali filantropici e umanitari degli Illuministi sono naufragati nella ghigliottina, diventata l’infelice simbolo dell’età dei lumi; inoltre, l’ascesa di Napoleone nei primi anni dell’800 sconvolge l’assetto socio-politico dell’Europa instaurando un nuovo dispotismo. La sensibilità tedesca è la prima a ribellarsi a questo stato di cose con il movimento culturale denominato Sturm und Drang (letteralmente: Tempesta e Assalto), movimento che trova rilevanza storica e extraterritorriale grazie all’apporto di personaggi quali Goethe, Schiller, Jacobi. L’atteggiamento romantico consiste in una condizione di dissidio interiore, in un tormento del sentimento che non si sente mai pago, che si trova in contrasto con la realtà e aspira a qualcosa di superiore. Ma, attenzione, romantico non è il sentimento che si afferma al di sopra della ragione, e non è neppure il sentimentale: è piuttosto l’esperienza della pura e semplice sensibilità caratterizzata dall’amore per le ambivalenze e l’inquietudine e dal desiderio che non raggiunge mai la sua meta e perciò è vissuto come inestinguibile e di per se stesso significante e appagante. Il Romantico ha sete d’infinito, la natura per lui è vita che crea eternamente, mobile gioco di forze che genera tutti i fenomeni; egli si sente un attimo della totalità, elemento unico dell’infinità dell’esister; ha un fortissimo desiderio di libertà (sia personale che sociale) e rivaluta la religione come passaggio necessario perché l’uomo si rapporti con l’eterno. Gli artisti romantici sono attenti più al contenuto che alla forma, all’informale più che al formale; per questo rivalutano l’espressività de frammenti e abbozzi (caratteristici degli Autori di questo periodo). Emblematica, in quanto recante tutti gli aspetti del Romanticismo, è l’opera poetica di Holderlin (1770-1843): primato spirituale della bellezza e della poesia come le sole capaci di cogliere l’infinito, forte sentimento di appartenenza a questo tutto, divinizzazione della natura. Fondamentale, naturalmente, è anche la concezione di anima bella (dotata di grazia che armonizza istinto e legge morale) e la ricerca estetica in educazione più volte elaborate da Schiller (1759-1805); ed anche l’idea di arte come attività creatrice tanto quanto la natura di cui si permeano gli scritti di Goethe (1749-1832).

Generalmente, i Romantici reclamano libertà di sentimento e di espressione individuali, liberazione dagli aspetti materiali della vita, per goderla attraverso fruizioni estetiche e intellettuali, preferibilmente in circoli di persone elette. La creatività e la capacità produttiva dell’individuo diventano aspetti predominanti della formazione, fatto questo che porterà nel corso del XIX secolo ad un progressivo elevarsi del pensiero pedagogico su un piano squisitamente filosofico (è proprio durante il XIX secolo che si sviluppano in autonomia le scienze dell’educazione…come scopriremo più avanti).

 

8.1 L’Idealismo: esponenti e critici

L’Idealismo è la corrente di pensiero che rappresenta il culmine della speculazione di derivazione kantiana, fondata dalle teorie di Ficthe (l’Io puro si auto-pone in libertà creando tutta la realtà: il soggetto determina e modifica l’oggetto, le azioni dell’io allontanano incessantemente i limiti del non-io, l’azione morale è la vera religione) e di Schelling (la Natura è Spirito visibile; l’uomo è il suo fine ultimo in quanto in esso si risveglia lo spirito, assopito in tutti gli altri gradi della Natura stessa; la Natura è il prodotto di una intelligenza inconscia, l’Assoluto è identità originaria di Ideale e reale, la filosofia è l’intuizione dell’Assoluto). È inteso come “idealismo trascendentale” in quanto finalizzato a risolvere la realtà nella coscienza universale.

Georg Wilhelm Hegel (1770-1831). Principale esponente dell’idealismo, individua nella ragione il principio della comprensione unitaria della totalità: la coscienza naturale si muove verso il vero sapere per diventare spirito e arrivare alla conoscenza di ciò che essa è in sé (Fenomenologia dello spirito). Nella Scienza della Logica prova a dare sistemazione a tutti i principi concettuali elaborati nella storia del pensiero per penetrare razionalmente la realtà; analizza la struttura logica della realtà articolandola in tre momenti (essere, essenza e concetto) sui quali costruisce i capisaldi del suo sistema: la filosofia della natura (che riguarda l’Idea nella forma dell’essere-altro) e la filosofia dello spirito, quest’ultima comprendente l’analisi delle forme dello spirito oggettivo (diritto, moralità, etica) e dello spirito assoluto (arte, religione, filosofia).

Ludwig Feuerbach (1804-1872). Critico nei confronti di Hegel, è il teorico della concezione secondo cui la teologia è antropologia: la religione è la proiezione dell’essenza dell’uomo, è un fatto totalmente umano, Dio è la rivelazione interiore, è il sentimento che ascolta se stesso; vana è ogni indagine che vuole andare al di là della natura e dell’uomo.

Arthur Schopenhauer (1788-1860) si scaglia contro la filosofia hegeliana giudicandola “opera di un mercenario sicario della verità” e le contrappone un pensiero pessimistico per il quale la vita è dolore, la storia cieco caso e il progresso un’illusione. Nella sua opera principale, Il mondo come volontà e rappresentazione, afferma che tutto ciò che è obiettivo ha sempre ed essenzialmente, come tale, un’esistenza nella coscienza di un soggetto (il mondo come rappresentazione) per il quale spazio e tempo – come già in Kant – sono forme a priori della rappresentazione stessa, percezioni che l’intelletto ordina nella conoscenza attraverso la causalità: perciò l’intelletto non ci porta oltre il mondo sensibile, il mondo degli oggetti. Ma l’uomo, lui pure fenomeno e rappresentazione, è anche soggetto conoscente e volontà di rappresentare (il mondo come volontà): il corpo altro non è che la volontà resa visibile e attraverso il corpo all’uomo è dato sentire l’intima essenza del proprio essere, cioè la volontà. I fenomeni sono molteplici e catalogati razionalmente tramite le categorie di spazio, tempo e causalità; la volontà invece è unica, libera e irrazionale, frutto di insaziabilità e di eterna insoddisfazione e perciò è conflitto e lacerazione, costante generatrice di bisogni da soddisfare. L’arte è la via per liberarsi dal dolore: l’esperienza estetica è annullamento temporaneo della volontà cieca.

Soren Kierkegaard (1813-1855) ha dichiarato ridicolo il sistema hegeliano e ha affermato che l’esistenza del singolo si fa autentica solo davanti alla trascendenza di Dio. L’esistenza non è et-et (una serie di classificazioni), bensì aut-aut (un susseguirsi di scelte libere). Il suo attacco a Hegel non è tanto sui principi, quanto sull’interesse della filosofia stessa, che non è “mettere insieme un sistema speculativo”, ma il l’elaborazione intima di un’esistenza irripetibile. Il Singolo (il soggetto) è la categoria attraverso la quale devono passare il tempo e la storia: l’uomo è ciò che sceglie di essere; il Singolo crea significati e il dato centrale della sua esistenza è la fede: l’uomo deve aver il coraggio di mettersi in rapporto con Dio. Il futuro è legato all’angoscia e alla disperazione: esse sono il sintomo dell’incapacità dell’uomo di accettare la sua profondità e sono lo stato necessario che precede ogni scelta; è più disperato chi non si trova mai nella condizione della disperazione, di chi invece la sa affrontare per poter scegliere della propria esistenza.

Con Schopenhauer e Kierkegaard il pensiero prende decisamente una svolta verso la definizione dell’ esistenziale; essi, con Kant, sono i precursori di correnti e movimenti (e pensatori, vedi Nietzsche) che sorgono nei decenni successivi e che portano allo sviluppo di scuole di pensiero quali la Fenomenologia e l’Esistenzialismo in età contemporanea.

Anche l’hegelismo ha un seguito notevole ed esso pure troverà uno sbocco nella filosofia di fine ‘800 e del ‘900 (Spiritualismo, Neoidealismo). Certo è che senza Hegel il mondo occidentale non sarebbe giunto ad essere quello che è: dopo la svolta trascendentale kantiana, l’idealismo porta ad altissimo livello il confine della speculazione razionale e rivela al mondo con chiarezza possibilità e limiti della ragione umana.

Come si può vedere, tutte le caratteristiche dell’età romantica hanno trovato valide casse di risonanza negli approcci e nelle interpretazioni dei filosofi dell’epoca. E tutte hanno avuto un seguito negli anni successivi, dando origine a nuove visioni del mondo e dell’esistenza.

 

8.2 Johann Heinrich Pestalozzi (1746-1827)

Svizzero di Zurigo, educato in un collegio che forma ministri del culto riformato, Pestalozzi è uomo di forte personalità, influenzato dalla formazione religiosa, di cultura un po’ rozza e poco approfondita e – soprattutto – entusiasta per Rousseau (al punto da aderire alla “setta degli Illuminati”). Vissuto a cavallo tra due epoche (l’Illuminismo e il Romanticismo) prende alcune delle caratteristiche primarie di entrambe e le rielabora per creare la sua pedagogia.

La Svizzera di quel periodo è dominata dalla borghesia corporativa all’interno della quale sorgono circoli di stampo riformatore che svolgono azioni di interesse umanitario – e vengono spesso avvicinate alla massoneria dal potere ufficiale. Proprio a questi gruppi aderisce il giovane Pestalozzi, il quale – pur convinto che la distinzione tra classi sociali sia un volere di Dio, e quindi qualcosa di incancellabile – è ben consapevole del fatto che il povero possa venir aiutato ad uscire dalla condizione di sfruttamento e degenerazione indotta dal potere dei padroni…senza tuttavia fargli credere di poter realmente uscire dalla situazione di povertà che invece si sarebbe portato sulle spalle tutta la vita: la giustizia sociale (idea ricavata da Rousseau) sarà raggiunta solo quando ogni cittadino avrà il necessario in rapporto al suo stato. Il suo ideale è quello di formare i futuri lavoratori ad usare bene il denaro e risparmiarlo per prevenire la miseria e allontanare le tentazioni della vita oziosa.

La sua prima esperienza come animatore ed educatore è di tipo agricolo. Nel 1768 con un gruppo di amici acquista una casa di campagna che chiamerà Neuhof (= nuova residenza), vi si stabilisce con la moglie e sogna di realizzarvi il suo progetto di rivalorizzare la vita dei campi. L’impresa è ardua, soprattutto perché le condizioni dell’istruzione dei contadini sono pessime: risulta assai difficile insegnare loro l’aritmetica per prendere confidenza con il denaro. Neuhof si trasforma in un mezzo fallimento, poiché Pestalozzi deve affrontare e sobbarcarsi i costi notevoli del mantenimento della tenuta (cosa che gli impedisce di verificare con tranquillità i suoi metodi educativi); tra l’altro, la sua esperienza in campo agricolo non è certo quella di un professionista… Ritiene allora di trasformare l’azienda in una filanda, improvvisandosi piccolo industriale e avviando al lavoro i ragazzi poveri: lo scopo è quello di evitare ai giovani le disumane condizioni delle altre manifatture e intanto impartire loro un po’ di istruzione di base e qualche nozione professionale. Ragazzi e ragazze apprendono così il lavoro al telaio, imparano a leggere, a scrivere, a far di conto e soprattutto vengono avviati al lavoro. Neuhof offre anche cure mediche eccezionali rispetto alle abitudini dell’epoca e l’accoglienza degli ospiti avviene in un clima tanto familiare, al punto che l’opera di Pestalozzi ha più successo come luogo di assistenza che come luogo di istruzione.

Nel 1774 Pestalozzi redige un Diario sull’educazione di un figlio, rifacendosi alla sua personale esperienza di padre col figlioletto Jacqueli. Lo scritto evidenzia alcune contraddizioni: da un lato si esalta l’applicazione di una metodologia impostata sull’autoeducazione di stampo roussoniano, dall’altro si recrimina il ritorno ad atteggiamenti severi e quasi repressivi tipici dell’educazione tradizionale. Più volte si rimarca l’idea secondo cui l’educazione alla vita sociale consiste nel far nascere calma e felicità dall’obbedienza e dall’ordine.

Neuhof non si riprende. Pestalozzi torna al lavoro di scrittore e pubblica tra il 1780 e il 1787 il romanzo Leonardo e Gertrude nel quale descrive la sua visione socio-pedagogica nelle esperienze di un padrone di terre illuminato, un prefetto corrotto e destituito, un contadino arricchito che diventa piccolo industriale e utilizza i suoi guadagni per riscattare i contadini ancora soggetti a schiavitù, un ex militare che dirige una scuola-laboratorio, il muratore Leonardo e sua moglie Gertrude, educatrice e protettrice della brava gente del villaggio.

Dopo la rivoluzione francese del 1789, Pestalozzi si convince che gli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità siano sempre stati i suoi scopi; forse non li aveva mai esplicitati così, ma è certo che l’aristocrazia svizzera, spaventata da tutto ciò che appariva troppo nuovo perché avrebbe potuto fomentare delle rivolte,  si muove a censurare al pubblico tutte quelle opere considerate “blasfeme”, tra cui gli scritti di Pestalozzi. Questo episodio però spinge i rivoluzionari transalpini a conferire a Pestalozzi nel 1792 la cittadinanza onoraria francese. L’improvvisa fama lo porta ad affrontare una nuova esperienza educativa: assume la direzione di un orfanotrofio riservato ai figli dei rivoltosi contro la repubblica elvetica e affronta l’impresa di accudire praticamente da solo circa cento bambini, cercando di applicare con loro i principi di Leonardo e Gertrude. Ricorre a metodi di responsabilizzazione per cercare di istruire gli allievi, escogitando stratagemmi di comportamento secondo lui efficacissimi e convinto di poter suscitare con l’esempio il gusto dell’apprendimento. Si tratta però di un’esperienza breve, perché per motivi conseguenti alle guerre napoleoniche l’orfanotrofio viene trasformato in ospedale.

Nel frattempo Pestalozzi ha già pubblicato un’altra opera (1797) dal titolo: Mie indagini sopra il corso della natura nello svolgimento del genere umano. Dalle pagine di questo libro si evince che l’uomo, se abbandonato a se stesso e lasciato al suo stato naturale, conosce solo i suoi impulsi di sopravvivenza; lo stato sociale è necessario quale passo avanti rispetto a quella condizione, ma le norme morali vanno ricercate attraverso illuminate scelte individuali: l’educazione è quindi un percorso interiore di cui l’elemento decisivo è lo sviluppo personale di ogni individuo; inizialmente sono le circostanze a fare l’uomo, ma poi l’uomo deve crescere e superare le sue primitive attitudini passando, attraverso l’educazione, prima allo stato sociale, e quindi a quello etico.

Gli scritti di Pestalozzi hanno un discreto successo ed egli riceve un incarico dal ministro dell’istruzione, tornando ad insegnare inizialmente in alcune classi di scuole sia pubbliche che private, poi aprendo nel castello di Burgdorf un convitto per bambini e ragazzi poveri. Questa volta, finalmente, anche l’iniziativa pratica ha successo e le viene data voce nel libro Come Gertrude istruisce i suoi figli del 1801. In questo testo Pestalozzi puntualizza e migliora la sua metodologia,  delinea una pedagogia fondata sul metodo elementare secondo cui l’educatore (l’insegnante) ha il compito di proteggere la natura umana da influenze negative affinché il giovane allievo concretizzi quel percorso che attraverso la socializzazione lo porterà alla moralità. L’educatore viene paragonato ad un giardiniere che conosce – un po’ per intuizione, un po’ per la competenza significante – la natura delle piante e gli stadi di crescita di ciascuna. Pestalozzi insiste nel ribadire, riprendendo Rousseau, che la vita educa; l’educatore-giardiniere dovrà lasciarsi portare dallo sviluppo del metodo stesso, diventare strumento del metodo elementare perché l’allievo possa giungere ad esprimersi nello stato etico dell’esistenza.

 

8.3 Johann Friedrich Herbart (1776-1841)

Herbart nasce ad Oldenburg (Prussia) ed è scolaro di Fichte a Jena. Ben presto mostra il suo dissenso nei confronti del maestro: se Fichte guardava all’Io come se in esso fosse racchiuso tutto l’esistente, Herbart afferma invece che la realtà può esistere indipendentemente dall’Io: della realtà ci parlano le scienze e la filosofia, anzi quest’ultima avrebbe come fine proprio quello di portarci alla conoscenza del reale poiché inizia col dubbio rispetto alla realtà stessa così come ci appare; la filosofia conduce al superamento del dubbio e, tramite strumenti quali la logica, permette di cogliere il vero.

Docente di filosofia e pedagogia a Gottinga nel 1802,  pubblica uno dei suoi testi più importanti: La pedagogia generale dedotta dal fine dell’educazione. Nel 1809 rileva a Konigsberg la cattedra che fu di Kant, e in questa università realizza il suo primo progetto: il Seminario Pedagogico, una sorta di convitto universitario dove una decina di studenti alloggiano, studiano e si esercitano in attività didattiche. Lo scopo è dichiaratamente quello di formare i futuri professori; ma l’esperimento, giudicato lontano dai modelli tradizionali di formazione, non è ben accolto. Impegnato inoltre nella polemica contro gli Idealisti, Herbart li accusa di trascurare i fatti della psiche; questa terminologia è fondamentale, poiché Herbart è di fatto il primo a mettere in atto degli sforzi concreti per fondare la psicologia come scienza da studiare attraverso modelli di analisi oggettivi e completamente diversi dalle tradizionali disquisizioni filosofiche sull’anima. L’intento dell’Idealismo di ridurre la realtà a una sostanza spirituale (l’Io e la sua attività) diventa con Herbart una pretesa di poco valore.

Potremmo affermare che Herbart è il primo filosofo psicologista per l’importanza centrale che attribuisce ai processi e alle rappresentazioni della psiche: noi non possediamo nessuna sensibilità prima delle percezioni sensibili, nessuna memoria prima di conoscere certi ricordi, nessun intelletto prima che si formino concetti, nessuna facoltà del sentimento e del desiderio prima di provare reali sentimenti e desideri: l’uomo nasce come tabula rasa e le funzioni psichiche creano le facoltà dell’anima, intese queste ultime come strati progressivi di ciò che un po’ alla volta si deposita delle percezioni formando la massa appercettiva tramite una istruzione educativa che guidi alla moralità (e rendendo uguali i concetti di “persona virtuosa” e “persona colta”).

Condizioni fondamentali dell’istruzione educativa sono il governo e la cultura morale (o disciplina): il primo, inteso come tecnica di mantenimento dell’ordine, è necessario fino a quando l’educando abbia sviluppato l’autocontrollo (quindi sono ammessi i castighi, la sorveglianza e anche le minacce se l’appello ai sentimenti non si mostra sufficiente); la seconda è finalizzata all’istruzione intellettuale e al sostegno del comportamento. Istruzione ed educazione sono necessarie una all’altra, o meglio: la seconda è implicita alla prima perché una buona istruzione comprende anche una buona educazione.

Herbart fonda così una teoria pedagogica su presupposti psicologici, pur essendo la psicologia ancora ben lontana dall’essere una scienza a sé stante: percezione, memoria, immaginazione, intelletto e sentimenti non sono ancora ritenute facoltà oggettive, ma funzioni delle idee, ricavate dall’esperienza e combinate tra loro per via di conformità associativa. Ogni uomo ha a disposizione delle idee-modello morali (che sono anche gli scopi dell’educazione), quali la libertà, la tendenza al perfezionamento, la propensione all’equità, che si collegano ai contenuti dell’apprendimento attraverso quel legame che è l’interesse (inter-esse = essere tra, cioè legare).

 

8.5 Friedrich Froebel (1782-1852)

Figlio di un severo pastore protestante, da piccolo vive a contatto con i taglialegna delle foreste della Turingia e presso l’orto di casa: rapporto con la natura e spirito operoso risulteranno per lui fondamentali. Recatosi a Jena per studiare architettura, entra in contatto con il pestalozziano Gruner e accetta un posto come insegnante nella scuola da questi fondata. Per le sue doti, viene presto inviato a lavorare con lo stesso Pestalozzi, da cui rimane per quaranta giorni, lavorando senza sosta e ricevendo gli elogi del maestro, incrementando il sentimento di ammirazione per la natura e la sensibilità verso l’infanzia e il desiderio dello sviluppo di una società eticamente solidale. Si spinge così alle prime riflessioni educative nelle quali già compare quel senso di aspirazione all’unità che pervaderà tutta la sua esperienza. Lasciato l’insegnamento si dedica al lavoro di precettore privato, che gli permette non solo di approfondire le sue idee educative, ma anche di stringere amicizia con alcuni personaggi culturalmente di rilievo del periodo, tra i quali spiccava lo scrittore Richter. Si dedica in particolare allo studio e alla comprensione del gioco dei bambini, sottolineando come il bambino giochi con oggetti che per lui sono vivi e reali: le cose lo portano a relazionarsi con se stesso e con il mondo e il gioco è fondamentale per la crescita sociale e perciò andrebbe promosso come attività collettiva visto che le abitudini apprese nel gioco infantile vengono poi trasferite nelle attività di adulti.

Dopo la pausa dovuta all’arruolamento militare, Froebel riprende gli studi naturali lavorando in un museo scientifico e approfondendo le riflessioni sul legame tra natura, spirito e educazione. Quindi, a partire dal 1816, si prende cura dei tre nipoti, figli del fratello defunto, avvia delle iniziative educative e apre un istituto a Keilhau. Quest’ultima esperienza lo avvicina a Pestalozzi dal punto di vista delle difficoltà di gestione e nemmeno il matrimonio con la ricca Guglielmina Hoffmeister né alcune donazioni riescono a sollevare le sorti dell’istituto. Ma l’amicizia con un musicista lo conduce al castello di Wartensee, in Svizzera, e poi in una casa meno onerosa nella vicina Willisau, e stavolta l’opera educativa non si ferma, superando anche le critiche del clero della zona (che considerava Froebel e i suoi educatori come dei corruttori eretici) col mettere in risalto – molto romanticamente – gli aspetti religiosi dell’educare. L’iniziativa successiva (e ultima) di Froebel è però quella di Blankenburg, in Germania, nel 1837, dove apre un Istituto per le attività spontanee della prima infanzia, immediatamente ribattezzato Giardino d’Infanzia. È la sua fortuna, al punto che il Duca di Meiningen finanzia un corso di formazione per gli operatori dei Giardini che da lì in poi sarebbero stati aperti. Froebel viene subito considerato un maestro dagli insegnanti che in gran numero aderiscono alle sue iniziative.

Qual è il metodo educativo dei Giardini, che ha avuto così tanto successo? Froebel sostiene che dopo i primissimi anni di età del bambino sia un bene che la famiglia si unisca al lavoro degli educatori, convinto che l’unificazione della vita familiare e della scuola sia il cardine dell’educazione. Dunque, i Giardini sono dei luoghi di istruzione e apprendimento con metodologie però abbastanza atipiche: il bambino gioca e impara a coltivarsi il suo pezzo di terra, creando la vita della natura e imitando così Dio Creatore; lo spirito umano può agire sulla materia e animarla perché acquisti figura e forma: questo è il significato dell’opera creativa e del lavoro, che non è più visto solo nel suo aspetto economico, ma piuttosto è considerato come tempo nel quale dar vita alla propria capacità creativa ed esprimere la propria essenza spirituale. In questo senso il lavoro nobilita l’uomo e lo rende simile a Dio. L’impegno lavorativo-creativo dovrebbe accompagnare tutte le fasi educative fino all’età adulta, e su questo i Giardini si consolideranno dando vita ai cosiddetti bagni di lavoro, nei quali l’infanzia si avvicina gradatamente alla vita professionale attraverso il gioco. Uno strumento importante di questo approccio educativo sono i doni, oggetti che vengono dati ai bambini per permettergli di manipolare e creare, dalla palla di stoffa ad oggetti più particolari e spigolosi, passando per una escalation di rumori, colori, pezzi e simboli, di modo che il bambino possa scegliere e manipolare in base alle sue preferenze e ricostruire in base alla sua fantasia.

La diffusione dei Giardini d’Infanzia (Kindergarten) è rapida e vincente, almeno fino al 1851, quando la Prussia (che è il maggiore stato tedesco del tempo) ne decreta la chiusura con l’accusa di fomentare un’educazione atea e socialista; i Giardini vengono riaperti dieci anni dopo, ma Froebel muore nel 1852. L’accusa di ateismo pare piuttosto infondata, vista l’importanza data alla religione in ambito educativo dai formatori froebeliani, pur trattandosi di una religiosità che metteva un po’ in discussione le credenze popolari, spinta com’era da principi di filantropismo e universalità; probabilmente il clero sia cattolico che protestante è infastidito dal fatto che le iniziative di Froebel spezzano il monopolio educativo della chiesa, riformata o cattolica che sia. Anche l’accusa di socialismo appare strana, visto che Froebel mai si è immischiato in vicende politiche; la ragione di questo fatto è forse da ricercare nella stessa larga diffusione dei Giardini nei quali si educa ad un’unità di spirito e di azione che preoccupa i detentori del potere. Fatto è che i Giardini si diffondono in tutto il mondo nella seconda metà dell’800 e nei primi anni del ‘900 e la metodologia froebeliana contribuisce alla riorganizzazione didattica degli asili infantili, anche se i successori di Froebel si inaridiscono un po’ troppo nei formalismi e il verde nelle città è sempre meno disponibile (per cui i Giardini finiscono per essere relegati in ambienti scolastici tradizionali); in Italia il primo Giardino aperto è quello di Venezia (1869).

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