tracce di storia del pensiero educativo: 10.L’IDEALISMO DOPO HEGEL

  1. L’IDEALISMO DOPO HEGEL

 Hegel muore nel 1831, dopo aver portato al suo apice l’Idealismo sottolineando la centralità dello spirito soggettivo (l’Io o Spirito Assoluto) quale unica entità in grado di ergersi a verità filosofica e quale solo strumento capace di offrire una lettura sistematica di tutta la realtà storica e naturale.

I suoi seguaci, spesso portando ad estreme conseguenze il pensiero del maestro, si dividono in due orientamenti tra loro diametralmente opposti, scontrandosi proprio sull’interpretazione della storia nei suoi aspetti politici e religiosi. Le due diverse impostazioni di pensiero prenderanno il nome di Destra e Sinistra hegeliana.

 

10.1 La Destra e la Sinistra hegeliana. Riflessioni

Si è detto che la separazione fra le due correnti dei seguaci di Hegel avviene all’interno della riflessione politica e religiosa. La questione politica vuole mettere in rilievo la validità o meno dello “Stato esistente” (con riferimento diretto allo stato Prussiano) rispetto all’impostazione filosofica di Hegel. Gli esponenti della Destra asseriscono che l’Idealismo hegeliano è la perfetta giustificazione dello Stato, che quest’ultimo incarna in modo esemplare i principi del pensiero idealista; la Sinistra, dal canto suo, afferma che in nome della dialettica la filosofia idealistica di Hegel nega lo stato esistente: lo stato di Prussia è l’antitesi dell’Idealismo e quindi va rifondato.

Il dibattito in merito alla religione prende il via dalla domanda se il cristianesimo sia o no compatibile con l’Idealismo hegeliano. Parallelamente alle risposte date sulla questione politica, la Destra sostiene che i dogmi cristiani sono certamente compatibili col pensiero di Hegel; la Sinistra invece si mostra convinta che la filosofia hegeliana abbia di fatto sostituito la religione in tutte le sue forme, e quindi nega la validità del cristianesimo stesso.

Da un punto di vista della storia del pensiero, i rappresentanti delle due opposte correnti sono probabilmente da considerarsi “minori” rispetto ad Hegel stesso e ad altri filosofi dell’epoca, eccezion fatta per Feurbach, il quale – esponente della Sinistra hegeliana – negò fermamente ogni pretesa religiosa ergendo a “divinità” l’Io.

Ciò nondimeno, vale la pena considerare che all’apice dell’evoluzione ideologica dei due schieramenti troviamo quei due pensatori  che minori di Hegel sicuramente non sono e che, volenti o no, hanno determinato alcune delle svolte sociali e politiche più importanti nel XX secolo: l’interpretazione critica della realtà svolta da Marx e da Nietzsche ha sicuramente influenzato l’evolversi del pensiero e di alcune sue applicazioni pratiche.

Nel cuore della rivoluzione industriale, Marx annulla tutte le pretese redentrici dell’euforia borghese fondando il materialismo storico e accendendo il motore del movimento operaio, cosa che porterà – per varie ragioni – alle rivoluzioni del ‘900 (in particolare quella bolscevica in Russia) e all’instaurazione dei regimi comunisti.

Nietzsche, portando all’estremo i concetti di potere, assoluta capacità divina e creatrice dell’Io individuale e soggettivo, di superuomo e di selezione naturale della razza dei filosofi-artisti (i soli in grado di governare il mondo) provocherà la deriva dei nazionalismi e l’ascesa del nazionalsocialismo di stampo xenofobo.

È evidente che le conseguenze di queste filosofie sono stravolgimenti del pensiero originario, per quanto la forza rivoluzionaria delle idee di Marx e di Nietzsche fosse qualcosa di assolutamente tangibile e concreto. Purtroppo sappiamo che la storia segue vie tutte sue, le quali sono però allo stesso tempo determinate dagli uomini che la fanno: e chi riesce in qualche modo ad assurgere al governo di un Paese, può anche avvalersi della bontà di un pensiero filosofico ed imporlo come cultura, uscendo però dai binari della fonte originaria e trasformando questo stesso pensiero, come avrebbe detto Marx, in ideologia.

 

10.2 Karl Marx (1818-1883)

10.2.1 Periodi e opere 

  1. Primo periodo tedesco (fino al 1843): Treviri, Bonn, Colonia; studi (laurea in filosofia); carriera giornalistica alla “Gazzetta Renana”, rivista chiusa per motivi politici nel 1843.
  2. Periodo francese (1843-1845): Parigi; amicizia con Engels. Collabora alla rivista “Avanti!” (giornale degli artigiani comunisti). Espulso dalla Francia per le sue idee politiche.
  3. Periodo belga (1845-1848): Bruxelles; pubblica con Engels: L’ideologia tedesca e La sacra famiglia; da solo: I manoscritti del ’44 e La questione ebraica. Su incarico della Lega dei Comunisti, con Engels scrive e fa pubblicare Il manifesto del partito comunista.
  4. Secondo periodo tedesco (1848-1849): Colonia; fonda la rivista “Nuova Gazzetta Renana”, subito chiusa per motivi politici.
  5. Periodo inglese (1849-1883): Londra; fonda la “associazione internazionale dei lavoratori”, poi chiamata “Prima Internazionale Comunista” (dal 1864 al 1872). Ricerca, lavora e infine scrive Il Capitale, il cui primo volume è pubblicato nel 1867; il secondo e il terzo volume vengono pubblicati postumi da Engels, rispettivamente nel 1885 e nel 1894.

 

10.2.2 Il materialismo storico

L’interesse di Marx (e del suo amico Engels) non era la filosofia fine a se stessa, ma una ricerca della chiave interpretativa del concreto (si dirà poi: del materialismo storico). Marx aveva scoperto la legge dello sviluppo storico: il fatto elementare che gli uomini devono innanzitutto mangiare, bere, avere un tetto e vestirsi, prima di occuparsi di filosofia, scienza e religione; ne deriva che la produzione dei mezzi materiali necessari alla sopravvivenza e il grado di sviluppo economico di un popolo in un determinato momento storico costituiscono la base sulla quale si fondano le istituzioni statali e giuridiche, l’arte e la religione degli uomini, cose queste che dunque sono spiegate dalla produzione e dal grado economico di sviluppo, e non viceversa (com’è stato fatto finora). Allora, la storia è mossa dai conflitti che si determinano nell’organizzare i processi di produzione dei beni economici, conflitti tra la classe dominante (i capitalisti e i ceti loro integrati) e le classi lavoratrici (i proletari cui spettano compiti esecutivi).

La concezione politico-pedagogica di Marx è fondata sul legame lavoro-ideologia-educazione, dove l’ideologia è l’insieme dei modi di pensare che la classe dominante ha contribuito ad elaborare e a diffondere attraverso l’educazione e l’istruzione, che perciò a loro volta confermano la divisione in classi della società, come se la coscienza possa modificarsi sotto l’influsso di contenuti intellettuali o spirituali (per Marx l’essere sociale determina la coscienza). Ma le idee non possono attuare niente. Perché si attui qualcosa, c’è bisogno degli uomini che impiegano la loro forza pratica: cioè, le idee si originano e si verificano nella prassi, da sole non modificano alcuna situazione. Se questo vale per la società, tanto più ha valore in educazione: le idee preconfezionate non riescono ad avere efficacia. In età borghese, quelle idee che una volta venivano trasmesse dalla Chiesa come insegnamento perché rispondenti a volontà divina, vengono elargite – dopo la rivoluzione francese e quella industriale – come modelli educativi per i quali la realtà diventa un sistema di idee che abbellisce i comportamenti agiti sulla realtà stessa.

Dal sistema di valori borghesi, Marx deriva la centralità del lavoro, ma respinge l’idea secondo cui il lavoro manuale rappresenterebbe la manifestazione più autentica dell’uomo, ciò in cui l’uomo si realizza. Marx distingue la capacità produttiva dell’uomo dal lavoro che l’uomo fa per sopravvivere: la prima è attività creativa oltre che produttiva, è l’attività indotta dalle capacità dell’individuo; il secondo è ciò che avviene in cambio di un salario. Nel corso della storia, l’uomo ha vissuto un’epoca in cui attraverso l’attività produttivo-creativa rispondeva agli interessi della comunità: questo tipo di attività non prevedeva distinzioni di casta e si basava solo sulle abilità personali; il lavoro nella società capitalistica, invece, risponde esclusivamente al bisogno del datore di lavoro che vuole manodopera al costo più basso possibile. Inoltre, le attività delle comunità pre-capitalistiche trovavano senso nel godimento dei prodotti frutto dell’attività stessa, all’interno del proprio clan familiare e in uno scambio equo tra coloro che appartenevano ad una medesima comunità; nella società industriale si è perso questo carattere originario e il salario è calcolato solo sulla necessità dell’operaio di poter sopravvivere e garantire manodopera. Se ne deduce che l’uomo è valutato come detentore di forza-lavoro che non usa più per sé, ma che vende al capitalista in cambio di un prezzo inferiore al valore reale della merce: così l’operaio diventa tanto più povero quanto più produce ricchezza. Allora, con la valorizzazione del mondo delle merci aumenta la svalutazione del mondo umano e ciò che si produce resta un oggetto estraneo al lavoratore.

In seguito a queste riflessioni, Marx contesta il programma del partito socialista tedesco che ritiene “il lavoro fonte di ogni ricchezza e civiltà”: non è così e non può essere così, poiché solo i borghesi hanno motivi per attribuire al lavoro una valenza creativa, dato che essi dispongono delle condizioni di lavoro perché le creano e formano così la classe dominante.

Il materialismo storico trova espressione ne Il manifesto del partito comunista del 1848: la borghesia è stata sì rivoluzionaria nel corso della storia, perché ha distrutto il feudalesimo e ha mostrato il potere dell’attività umana; ma questa impresa ha oltremodo ridotto ogni tratto umano a semplice valore di scambio e l’operaio è diventato un optional della macchina industriale. Eppure anche la moderna borghesia ha il suo punto debole: il proletariato, che si è sviluppato parallelamente allo sviluppo del capitalismo. Il proletariato, organizzandosi e lottando, può accelerare la crisi del capitalismo e creare una nuova società senza classi che restituisca alle attività umane i suoi requisiti originari.

Nel primo libro de Il Capitale, Marx riepiloga le condizioni di sfruttamento cui erano sottoposti i bambini (a partire dai sei anni di età) e le donne, impiegati come manodopera nell’epoca della rivoluzione industriale, in cui le macchine hanno sostituito nelle fabbriche in molti lavori pesanti l’uomo, motivo per cui certe mansioni operaie possono essere svolte da chiunque. I più deboli e i più poveri però continuano a vivere in uno stato di grave insicurezza e spesso i bambini vengono abbandonati e trascurati da genitori costretti ad orari di lavoro infernali per guadagnare il poco necessario al sostentamento della famiglia. Addirittura, molti bambini vengono venduti o noleggiati a vantaggio di chi può usarli nell’attività industriale.

Di fronte a questa evidente degradazione, a metà Ottocento è sorta in Europa la necessità di regolamentare con apposite legislazioni il lavoro infantile e anche di strutturare l’istruzione per coloro che si trovavano costretti al lavoro in età precoce. Questa azione è stata però affidata agli stessi imprenditori e veniva frequentemente trascurata se non ignorata, senza contare poi che i piccoli non avevano più tante energie da erogare sui libri dopo aver lavorato in fabbrica… Marx sostiene la necessità di mantenere l’unione fra istruzione e lavoro (fra tempo scolastico e attività produttiva) a partire dall’età dell’istruzione primaria: in una società razionalmente organizzata ogni fanciullo a partire dalla fanciullezza deve diventare un operaio produttivo, ma è importante sempre lavorare non solo con le mani ma anche col cervello; perciò pure l’adulto dovrà mantenere la necessaria attenzione al suo sviluppo culturale. Le classi media e alta della società sono in grado di occuparsi da sé dell’istruzione dei ragazzi; i lavoratori però devono preoccuparsi che i loro figli vengano istruiti (quindi: farli andare a scuola, insistere perché nelle fabbriche vi sia davvero del tempo dedicato all’istruzione), perché da ciò dipende il futuro delle classi lavoratrici stesse. Marx propone un percorso formativo che prevede una formazione intellettuale, l’educazione fisica e una formazione politecnica, così  che, combinando in modo graduale lavoro e studio: il bambino tra i sei e i dodici anni riceva un’istruzione di base affiancata a due ore di lavoro domestico; il ragazzo tra i tredici e i quindici anni svolga quattro ore di lavoro continuando ad istruirsi; e lo stesso faccia tra i sedici e i diciassette anni, aumentando un po’ per volta l’attività lavorativa fino a portarla a sei ore. Il tutto senza distinzione tra maschi e femmine.

La formazione politecnica è intesa da Marx come istruzione impartita ad ogni operaio in quanti più settori lavorativi possibile, così da poter impiegare il lavoratore in ambiti produttivi diversi ogni qualvolta se ne presenti la necessità (introduzione di nuovi macchinari, diversa organizzazione del lavoro,…). Quindi, per i proletari l’istruzione non è solamente avviamento al lavoro, ma deve essere un fattore formativo che tocca tutte le capacità produttive e creative dell’uomo, permettendogli così di comprendere il lavoro nel suo insieme e preparare con una rivoluzione (o lotta di classe) nuove condizioni di vita.

 

10.3 Friedrich Nietzsche (1844-1900)

 10.3.1 “io non sono un uomo, sono una dinamite”

DATE VITA

 

OPERE “FONTI”
1844 Il 15 ottobre nasce a Rocken, presso Lutzen  
1862-1864 Studia filologia classica a Bonn e a Lipsia   “Il mondo come volontà e rappresentazione” di A. Schopenhauer
1869 Cattedra di filologia classica all’università di Basilea   Amicizia con Wagner
1872 La nascita della tragedia

 

1873-1876 Considerazioni inattuali

 

1878 Distacco dalla filosofia di Schopenhauer; rottura dell’amicizia con Wagner Umano, troppo umano
1879 Si dimette dall’insegnamento; inizia a girovagare tra Svizzera, Italia e Francia  
1881 Aurora

 

1882 Inizio e fine della storia d’amore con la giovane russa Lou Salomè Gaia scienza Si entusiasma per la “Carmen” di Bizet
1883-1887 Rapallo, Roma, Nizza Così parlò Zarathustra (1883-1885)

Al di là del bene e del male (1886)

Genealogia della morale (1887)

1888 Il caso Wagner

Il crepuscolo degli dei

L’Anticristo

Ecce Homo

Volontà di potenza (incompiuta)

1889 A Torino, dove pensa di restare per il resto della vita, viene colpito dalla pazzia. È affidato alle cure della madre (che però muore) e quindi della sorella  
1900 Il 25 ottobre muore a Weimar in preda alla follia  

Critico del passato, dissacratore dei valori tradizionali, profeta dell’uomo che deve ancora venire, Nietzsche contraddice il Romanticismo, l’Idealismo, il Positivismo, e l’Evoluzionismo perché ritenute teorie umane, troppo umane che hanno avuto la pretesa di ergersi a verità assolute, ora da palesare; e contraddice il Cristianesimo perché promotore di un’etica della debolezza e della sottomissione. Esalta invece la morale degli aristocratici quale trionfante dire sì a se stessi. Il suo pensiero si impone come inversione delle idee e dei valori tradizionali.

Nietzsche è stato interpretato in modo controverso: antipositivista, antidemocratico, rappresentante della corrente culturale del Vitalismo, primo vero esistenzialista, ispiratore delle avanguardie artistiche del anni Venti del ‘900, precursore di Freud, profeta del Nazismo. Può essere tutto vero e tutto falso, a seconda della chiave di lettura delle sue opere. Va chiarito però che i concetti di superuomo e di volontà di potenza – spesso intesi come fondamento teorico dello stato totalitario e della razza pura – nel contesto globale del suo pensiero rimandano al “filosofo che annuncia una nuova umanità”, la quale si ergerà al di là del bene e del male liberandosi dalle antiche catene: e tra queste catene vi è anche l’idolatria dello stato, che per Nietzsche è il primo antagonista della cultura.

 

10.3.2 Apollineo e dionisiaco

Sulla scia di Schopenhauer, Nietzsche ritiene che l’esistenza sia crudele e cieca irrazionalità, dolore e distruzione e che solo l’arte sarebbe in grado di dare la forza e la capacità di affrontare le sofferenze e di dire sì alla vita. Ne La nascita della tragedia (opera scritta sotto l’influsso della filosofia di Schopenhauer e col supporto dell’amicizia con il musicista Wagner) egli mostra come la civiltà greca pre-socratica abbia elaborato un’arte coraggiosa e sublime, l’arte tragica appunto. È questa la Grecia del VI secolo a.c., quella in cui Nietzsche individua lo spirito di Dioniso, il dio del vino e dell’allegria e della continuità tra la vita e la morte, immagine della forza istintiva e della salute, di ebbrezza creativa e passione sensuale, simbolo dell’umanità in accordo con la natura; e accanto ad esso vi è lo spirito di Apollo, il dio della luce e della bellezza, ispiratore della poesia e del pensiero filosofico, espressione del significato delle cose nella limpidezza di figure equilibrate. E se apparentemente sembra esserci un forte contrasto fra il dionisiaco e l’apollineo, in realtà Dioniso e Apollo viaggiano fianco a fianco, miracolosamente uniti dall’arte geniale della tragedia greca. Tutto questo è funzionato fino alla comparsa di Socrate e Platone che, con la loro presunzione di dominare la vita con la ragione, hanno provocato la decadenza dello spirito antico. Da qui in poi tutta la morale del perfezionamento non è stata altro che un grosso equivoco, compresa la morale cristiana.

La nascita della tragedia viene duramente criticata. Nietzsche redige allora le Considerazioni inattuali, scagliandosi contro la saturazione della storia. In questi scritti si evidenziano tre atteggiamenti di fronte alla storia:

  1. la storia monumentale: è quella di chi cerca nel passato modelli e maestri capaci di soddisfare le sue aspirazioni;
  2. la storia antiquaria: è quella di chi reputa il passato della propria città (dalle costruzioni alle tradizioni, alle istituzioni pubbliche,…) come fondamento della vita presente;
  3. la storia critica: è quella di chi guarda al passato con gli intenti del giudice che condanna e demolisce ciò che ostacola la realizzazione dei propri valori.

Quest’ultimo è l’atteggiamento dello stesso Nietzsche, che ritiene gli altri atteggiamenti un eccesso, appunto: una saturazione.

 

10.3.3 Umano, troppo umano

Umano, troppo umano è l’opera del distacco di Nietzsche da Schopenhauer e da Wagner (rottura accentuata in seguito anche in Aurora e in Gaia scienza). Vi si espongono due tipi di pessimismo: quello romantico (il pessimismo dei rinunciatari) e quello di chi accetta la vita pur conoscendone la dolorosa tragicità. Schopenhauer e Wagner risultano a Nietzsche gli estremi esponenti proprio del pessimismo romantico e quindi se ne allontana: essi ammalavano tutto ciò che toccavano, perché imponevano (Wagner in particolare) delle giustificazioni metafisiche all’uomo e alla storia, così come hanno fatto e stanno facendo l’Idealismo (che ha creato un vero e proprio anti-mondo), il Positivismo (che ha preteso di ingabbiare la realtà in reti teoriche), il Socialismo (che ha cercato di salvare la storia con la massificazione) e l’Evoluzionismo (che ha detto molto, ma provato poco). Sembra così che Nietzsche voglia tornare all’Illuminismo, come suggerirebbero la sfiducia nella metafisica e l’eliminazione delle pretese dogmatiche di contro ad un atteggiamento aperto alle infinite interpretazioni del mondo e della storia, al riconoscimento della finitezza umana e alla critica delle religioni. Ma questo di Nietzsche è un Illuminismo meno superficiale: è la consapevolezza di una crudeltà cui si va incontro con un grido di sfida.

 

10.3.4 La morte di Dio

Nietzsche vuole dunque smascherare tutto ciò che si presenta come verità eterna. I passi più grandi da lui svolti in questo senso sono l’attacco contro il Cristianesimo e l’annuncio della morte di Dio. In Gaia scienza l’uomo pazzo proclama la morte di Dio come l’evento più grande della storia, quello che ha spaccato l’umanità; la civiltà occidentale si è staccata da Dio per diverse ragioni e così l’ha ucciso, eliminando di conseguenza anche tutti quei valori che sono stati il fondamento di questa stessa civiltà (quelli esaltati nella Grecia pre-socratica). Con la morte di Dio e la nascita del Cristianesimo è morto l’uomo vecchio, ma quello nuovo non è ancora comparso. È qui che Nietzsche annuncia la venuta di Zarathustra* che sulle ceneri di Dio innalzerà l’idea del superuomo.

* Zarathustra, il nome che Nietzsche utilizza per il suo profeta, era in realtà un profeta iranico (conosciuto anche come Zoroastro) vissuto probabilmente tra il 1000 e il 600 a.c.; fu l’innovatore dello zoroastrismo (o mazdeismo), religione dell’Iran pre-islamico secondo cui l’uomo risorgerà, anima e corpo, alla fine della lotta tra il bene e le divinità malvagie. Svolse la sua attività nell’attuale Iran orientale e pare fosse l’autore di alcune parti del testo sacro dell’Avesta, scritto in iranico antico.

La morte di Dio, si legge in L’Anticristo, è un evento storico di cui tutti gli uomini sono responsabili; essi si sono liberati dalle catene del soprannaturale, che pure essi stessi si erano creati, ma poi il Cristianesimo ha di nuovo reso peccato tutti i piaceri e i valori della terra, prendendo le parti di ciò che è debole e emarginato, ha guastato le nature intellettualmente più forti degradando a tentazioni i loro supremi valori. Il Cristianesimo è religione della compassione e la compassione, fondamento della morale degli schiavi, è annullamento della vita (= nichilismo): il Dio cristiano ha reso sacra la volontà del nulla.

Nietzsche è comunque affascinato dalla figura di Cristo (egli è l’uomo più nobile, il simbolo della croce è il più sublime che mai sia esistito) e fa una netta distinzione tra Gesù e il Cristianesimo: quest’ultimo è completamente diverso da ciò che voleva il suo fondatore. Cristo è morto per indicare come si deve vivere, insegnando il contegno di fronte agli accusatori. Ma con lui è morto anche il vangelo, o meglio: il vangelo si è trasformato in Chiesa, cioè nella negazione di tutto ciò che è aristocratico e nobile.

Condannando il Cristianesimo, Nietzsche sottopone a dura critica tutta la morale, in nome della trasformazione dei valori. Le opere in cui intraprende questa sua personale guerra sono Al di là del bene e del male e Genealogia della morale. Si è sempre stabilito che “buono” è superiore a “malvagio”; ma se fosse il contrario? L’assolutezza dei valori è solo una pretesa, basti considerare che la morale è stata costruita per dominare; allora si deve distinguere tra la morale aristocratica dei forti e la morale degli schiavi. Il risentimento contro la forza eleva al rango di virtù e di bene comportamenti come il disinteresse, il sacrificio di sé, la sottomissione. Al contrario, la morale dei forti è fierezza, generosità, individualismo: quella dei deboli è la morale della democrazia e del socialismo.

 

10.3.5 Nichilismo e superuomo

Il nichilismo è la conseguenza necessaria del Cristianesimo, della morale, e del concetto di verità in filosofia: quando le illusioni perdono la maschera, quel che resta è il nulla. Cadute le menzogne dei valori assoluti, non resta alcuna provvidenza, né alcun ordine cosmico. Se il mondo dunque non ha senso, rimane però una necessità: quella della volontà. Il mondo da sempre è dominato dalla volontà di accettare se stesso e di ripetersi (dottrina dell’eterno ritorno). Esso non procede rettilineo verso un fine (come vuole il Cristianesimo), né progredisce (come dicono gli hegeliani), ma tutte le cose eternamente ritornano, noi fummo già eterne volte e tutte le cose con noi. Questa è allora la dottrina cosmologica di Nietzsche: il mondo che accetta se stesso e si ripete. Ad essa egli collega l’altra sua grande dottrina, quella dell’amor fati: amare il necessario, accettare questo mondo e amarlo. L’uomo scopre che l’essenza del mondo è la volontà, comprendendo che esso è eterno ritorno e di conseguenza riconciliandosi volontariamente con esso.

Accettare l’eterno ritorno e la vita, non significa però per Nietzsche accettare anche l’uomo; il messaggio di Zarathustra è allora quello di insegnare il superuomo quale senso della terra, ossia l’uomo nuovo, colui che ai vecchi doveri sostituisce la sua volontà. I predicatori di vita eterna sono predicatori di morte, perché parlano di mondi soprannaturali; l’uomo nuovo deve essere invece la voce del coraggio e dell’audacia, colui che trasforma la compassione in valore (non la vostra compassione, bensì il vostro valore ha salvato chi era in pericolo). Così l’Io-voglio sostituisce il Tu-devi.

L’uomo con Nietzsche torna ad essere misura delle cose ed è in grado di realizzarsi (essere superuomo) come creatore di nuovi valori, perché il mondo gira intorno agli inventori di nuovi valori. Il superuomo ama la vita e le dà senso, è sempre fedele a questo stile di esistenza. Proprio in questo sta la volontà di potenza: volere, volere, volere, che esista il superuomo.

“Quel che si fa per amore
si svolge sempre
al di là del bene e del male.”

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