c’è un nuovo racconto in vetrina! LA CASA INFESTATA

LA CASA INFESTATA

Puoi dire che una casa è infestata solo dopo esserci stato e dopo aver visto di persona l’infestante, o almeno una o più tracce di esso. Forte di questa massima, quello che da ragazzino era per me soltanto un passatempo frutto di fantasie più che di dati reali, da adulto è diventato il mio mestiere e tramite un buon lancio pubblicitario e un notevole passaparola fra gli interessati sono diventato uno dei più famosi del settore, tant’è che mi chiamano anche per delle conferenze, le riviste richiedono i miei articoli o mi fanno interviste, la gente del paese da anni mi indica chiamandomi bonariamente uomo dei fantasmi.
Io non credo che i fantasmi esistano; penso piuttosto che in certi luoghi vi siano parvenze di memoria così fitte da sembrare reali. Non parlo della memoria di chi va in visita a quei luoghi o al ricordo frutto di dicerie e leggende; mi riferisco invece alla memoria di chi in quei luoghi è vissuto ed ora non c’è più, e vi è vissuto tanto intensamente – tanto forte è stata la traccia ivi lasciata – che quella memoria è stata in grado di formarsi, di sostanziarsi, di apparire quindi con sembianze o movimenti perlopiù impercettibili, ma capaci di colpire un occhio più attento di altri. Perlustrando di volta in volta case, cascinali, stanze o cantine o soffitte, ruderi, castelli, ma anche appartamenti (non è che i luoghi infestati si trovino solo in lande disabitate …), mi sono fatto dapprima un’idea, poi un intero manuale di cose da osservare, di dettagli cui porre riguardo per poter stabilire se una dimora sia o meno abitata da tracce di memoria, da reminescenze. O, come direbbero i più, da fantasmi.

Quando Rudiger Krupp mi contattò per dirmi che la casa che doveva vendere era infestata, lì per lì esitai ad accettare l’incarico, non pareva vi fossero i requisiti adatti ad una ricerca di questo tipo. Non avendo però in quel momento altri incarichi e lasciandomi trasportare dal buon cuore (il signor Krupp doveva essere una persona anziana, probabilmente giunto ad uno dei suoi ultimi incarichi professionali di vendita prima della pensione) alla fine accettai. L’abitazione si trovava in un quartiere periferico della vicina città, conoscevo la zona ma non l’esatta ubicazione dello stabile. Mi feci quindi dare l’indirizzo della dimora e, una volta stabiliti giorno e ora del lavoro, chiesi a Rudiger Krupp se avesse voluto partecipare alla mia ricerca. Mi rispose che avrebbe dovuto sbrigare una serie di faccende, ma che si sarebbe fatto trovare lì, di cominciare pure senza di lui che tanto comunque sarebbe arrivato. Mi avrebbe lasciato cancello e porta aperti.
Il giorno stabilito, andai dunque all’indirizzo indicatomi. La casa che mi trovai di fronte era un’antica villa su due piani, in stile vagamente vittoriano, con ampio giardino intorno. Sul cancello d’ingresso e intrecciata a tutta la recinzione vi era una pianta di glicine, di sicuro meravigliosa nei giorni della fioritura, ora crudelmente spettrale nella sua nudità, visto l’incedere dell’inverno e del freddo. Le imposte verde scuro era tutte chiuse; le pareti esterne, di un pallido giallo, sembravano ben mantenute. Il cancello di ferro era accostato, quindi entrai. La via all’ingresso della casa passava sotto un pergolato di rose rosse stranamente ancora in fiore. La porta in legno massiccio era anch’essa aperta, come mi aspettavo ma come volli comunque verificare. Prima di addentrarmi nell’abitazione, feci un giro esterno dell’edificio che effettivamente mi parve presentarsi in buono stato, a parte un alone di muschio cresciuto sulla parete nord. Nel cortile vi erano parecchi alberi, almeno tre di essi avrei detto fossero secolari data la loro imponenza. L’erba era cresciuta senza cura, e per quanto fosse ora appassita non invogliava certo ad addentrarsi fra le fronde. Entrai dunque in casa; aprii le finestre e le imposte del salone d’ingresso. Doveva trattarsi di una casa molto elegante abitata da gente agiata; al centro del salone vi era un grande lampadario di cristallo, alle pareti lampade raffinate e il mobilio, nascosto sotto teli bianchi, sembrava sontuoso. Non provai ad accendere le luci artificiali: probabilmente la corrente era staccata e in ogni caso non ne avevo bisogno nella mia ricerca, anzi in molti casi mi sarebbe stata d’intralcio. Cominciai dunque l’indagine osservando, senza toccare nulla, gli oggetti che a vista potevano essere stati sottoposti ad un movimento. L’unico mobile non coperto della sala era un angolare a vetri contenente bicchieri e soprammobili di ceramica, perciò su quello posai l’attenzione. Bisogna sapere che in una dimora chiusa da anni si deposita inesorabilmente la polvere: se qualcosa fosse stato spostato avrebbe modificato anche l’aspetto della polvere intorno ad essa. Non è una prova, certo; bisogna che questo spostamento sia comprovato, ossia che chi abbia richiesto il mio intervento certifichi di non essere stato lui a spostare qualcosa, e bisogna che l’evento si ripeta una volta risistemate le cose con qualche artifizio (della polvere di gesso, ad esempio, posta attorno agli oggetti che si è visti spostati, lascia una traccia in caso di ulteriore movimenti); bisogna infine cogliere lo spostamento (e lo spostante) sul fatto per poter dire che vi sia una reale infestazione.
Veniamo dunque al nostro angolare. Ad una attenta osservazione, si poteva in effetti vedere che un bicchiere sul secondo piano del mobile non risiedeva in quella che doveva essere la sua posizione originaria una volta chiusa la casa: l’alone di polvere intorno ad esso era deforme, sbavato e impreciso. Buon segno. Nelle altre stanze del pianterreno (una cucina, la sala da pranzo e un bagno) non vi era mobilio scoperto, perciò decisi, ancora senza toccare nulla, di salire al piano superiore. Questa volta non aprii le imposte, ma usai la mia torcia elettrica; la scala non aveva segni di passaggi, né sui gradini né sul corrimano, né sulla balconata che dava accesso alle stanze. Da quel punto di vista potevo ammirare il notevole lampadario di cristallo dominante il salone d’ingresso, appeso proprio di fronte a me. Le porte erano aperte; vi era un altro soggiorno, un bagno e due camere da letto. Mi colpì notare che un lato del letto di quella che doveva essere la camera patronale il lenzuolo bianco era un po’ rialzato e raggrinzito, non teso e completamente abbassato come avrebbe dovuto essere. Proseguii l’ascesa al secondo piano, altre due camere e un bagno, senza notare particolari di rilievo e passai quindi alla soffitta, cui si accedeva da una botola aperta dalla quale scendeva una scricchiolante scala a pioli; salii la scala curando di non posare le mani sui lati (l’inclinazione consentiva di salire senza appoggiarsi) e diedi un’occhiata a lume di torcia, vedendo una comunissima soffitta che nascondeva un numero non precisato di oggetti e avanzi di vita lasciati lì più o meno alla rinfusa: una sedia a dondolo, vecchi giocattoli, un paio di bauli, scatole chiuse.
La casa era grande, il lavoro sarebbe potuto durare parecchi giorni, cosa che in un certo senso mi rallegrò, pensando al compenso che ne avrei tratto, anche se il pensiero dell’anziano Krupp alle soglie della pensione mi portò a cercare di risolvere la cosa il più velocemente possibile. Tornai dunque al letto del primo piano, quello col lenzuolo scostato, per cominciare da lì un’indagine più minuziosa. Entrai nella camera in questione e con la torcia feci luce intorno; notai che l’anta centrale del mobile principale era leggermente aperta sotto il lenzuolo che ricopriva tutto l’armadio. Delicatamente, indossando i guanti, spostai il lenzuolo. L’anta non doveva avere un buon appiglio perché, non appena liberata dal tessuto che la teneva ferma, cigolando si aprì fino a spalancarsi e facendo dondolare all’interno alcune grucce vuote e un paio di abiti maschili appesi dentro sacchi trasparenti. Anche in questo caso potei notare una variazione della polvere alla base del mobile, ma era facile pensare che quell’anta instabile potesse muoversi spostando la polvere ad ogni leggero soffio di corrente. Ne presi comunque nota. Volsi allora l’attenzione al letto; il lato ove il lenzuolo di copertura era teso appariva intonso, mentre quello dove il telo era raggrinzito sembrava effettivamente utilizzato, tant’è che anche il cuscino pareva essere più schiacciato, come su una testa vi si fosse appoggiata sopra. Mentre ero intento a queste osservazioni – aggiungendovi che non avevo trovato buchi alle finestre o aperture del tetto, perciò non vi erano incursioni di uccelli dall’alto o di altri animali dal basso, cosa anche questa da tenere sempre in considerazione durante questo genere di indagini – avvertii un cigolio provenire dal basso.
– È lei, signor Krupp?, chiesi.
– Sì, sono io, buongiorno, scusi se non mi sono annunciato! Vuole che le accenda le luci?
– No, grazie, lavoro meglio così!
– Bene! Allora, se non le dispiace, la attendo qua sotto! Sono nella cucina, credo abbia già visto dov’è.
– Ottimo, sta bene. Tra un attimo sono da lei e comincio a dirle qualcosa.
– Ci sono davvero i fantasmi, dunque?
– È ancora troppo presto per dirlo! Eccomi, ora scendo!
Così andai al piano di sotto, avvicinandomi alla luce del giorno che filtrava dalle finestre. Mentre scendevo le scale ripensavo alle (poche) informazioni che avevo raccolto su quella abitazione, perlopiù dal signor Krupp. Vi aveva abitato per generazioni un intero casato, avi e trisavoli, fino all’ultimo anziano erede scomparso ormai da qualche mese, vedovo e senza figli; un lontano parente si era rivolto all’agenzia chiedendo di mettere in vendita la dimora che avrebbe in breve tempo svuotato, salvo poi dire al signor Krupp che in quella casa vi erano stranezze e perciò si sarebbe limitato a ricoprire il tutto lasciando il mobilio e quant’altro così com’era. Rudiger Krupp si tenne le chiavi e archiviò la pratica per un po’, finché gli restò solo questa vendita prima del suo meritato riposo, ma onde evitare spiacevoli inconvenienti con eventuali compratori, si rivolse al miglior investigatore di fantasmi sul mercato, ossia a me. Immaginavo che sotto i teli che ricoprivano i quadri alle pareti della scala vi fossero i volti di coloro che per generazioni avevano abitato quella casa; appena smascherate da un refolo d’aria, comparvero sotto l’ultimo quadro in fondo alla scala le date di nascita e morte di quello che doveva essere stato l’ultimo discendente della dinastia, nonché ultimo padrone di quella dimora, visto che l’incisione alla base della cornice riportava l’anno in corso, solo otto mesi prima del momento attuale. Pensai che fosse strano ci fosse l’indicazione di morte dell’ultimo della dinastia, se dopo più nessuno aveva abitato la casa; forse era stato quel parente lontano cui aveva accennato Krupp, lo stesso che poi decise di mettere in vendita l’abitazione.
Raggiunsi Rudiger Krupp in cucina; si trattava di un ometto canuto, con folti capelli bianchi ed elegantemente vestito, pur se un tantino retrò. Portava un paio di occhialetti tondi sulla punta del naso adunco, lo sguardo era vispo e azzurro, il sorriso di chi la sa lunga. Ci presentammo ufficialmente, pur senza strette di mano, essendo Krupp intento ad armeggiare con le tubature sotto il lavandino. Gli spiegai in modo abbastanza dettagliato quanto avevo visto e annotato; lui seguì con attenzione e si scusò per quanto riguardava il locale in cui ci trovavamo, la cucina, l’unico a cui lui avesse messo mano in quanto vi si trovavano i quadri elettrici e i rubinetti dell’impianto idrico della casa. Gli dissi che mi ci sarebbe voluto del tempo per capire se la villa fosse realmente infestata, che avrei dovuto raccogliere ulteriori indizi, che se le tracce di memoria presenti fossero davvero state così reali da apparire vive avrei dovuto conoscere qualcosa di più sulla storia degli abitanti della casa.
– E comincerei dando un occhiata ai ritratti dei vari proprietari che immagino stiano nei quadri sulla scala …, aggiunsi.
– Ma prego, faccia il suo dovere senza remore!, rispose simpaticamente Krupp.
Tornai allora verso la scalinata, accesi la torcia, feci scivolare il telo che ricopriva il primo quadro. Puntai la luce al dipinto. E comparve il volto di un arzillo vecchietto con folti capelli bianchi, gli occhi azzurri e vispi, gli occhialetti tondi sulla punta del naso. Le iniziali accanto alle date di nascita e morte erano R.K.
Mi voltai di scatto. Rudiger Krupp, così com’era arrivato, era scomparso.

(E. Martignoni)
Per saperne di più:
https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/racconti/207597/il-ladro-dei-libri-non-scritti/

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